SCIENZA E SENTIMENTO

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    Sarà poi vero che i pomodori e il latte non sono più quelli di una volta? Ed è poi davvero un male? Forse è solo il nostro sguardo sul mondo a essersi deteriorato, vittima di semplificazioni antiscientifiche a cui hanno contribuito troppi intellettuali. In questi ultimi anni infatti, molti intellettuali, privi in realtà di solide conoscenze scientifiche, hanno trasformato questioni molto serie in simboli di facile lettura. Con interventi di orientamento “romantico” hanno tentato di guadagnarsi l’applauso del pubblico raccontando di un passato mitico o usando categorie come naturale (bene) e artificiale (male), chimico (veleno) e organico (sano).

    Davanti a categorie come queste, si sa, non c’è ragione che tenga. Il nostro romantico cuore spinge verso il naturale e l’organico e combatte il veleno. Ma il cuore è un organo largamente sopravvalutato. E il rischio è che la cultura umanistica alimenti una nuova inquisizione, di fronte alla quale è sempre più forte l’esigenza di un pensiero laico. Perché il buon laico in fondo somiglia al bravo scienziato. E davanti ad un bicchiere d’acqua non si lascia prendere né dal panico (apocalittico) né dall’emozione (creativa). Non ricama teorie sui bei tempi andati ma si concentra e cerca di fornire una misura.

    … Con cadenza pressoché regolare, almeno una volta a settimana, mi capita di leggere qualcosa sui bei tempi andati. Sono quegli articoli scritti da letterati puri che, per esempio, cercano di affrontare con la dovuta serietà la seguente questione: che fine hanno fatto i vecchi sapori di una volta? Di conseguenza, con cadenza pressoché regolare, vado a scoprire che le mele non sono più quelle di un tempo, l'uva nemmeno e via via, di settimana in settimana, tutta la produzione ortofrutticola italiana sembra irreversibilmente e orribilmente modificata. Ora, sarà quel tono copiato da Pasolini, falsamente risentito, sarà la palpabile presunzione dell' articolista che finge di sapere a menadito cose che non conosce, sarà perché per otto anni della mia vita ho studiato agraria e perché lavoro nel settore agricolo, ma, in genere, questi articoli hanno il potere di rovinarmi la giornata.

    Questa tipologia di intellettuale o letterato puro è per definizione ignorante in questioni di tecnica agronomica, genetica, genetica sperimentale, fisiologia delle piante coltivate, zootecnia, tecniche di diserbo, chimica e chimica del suolo, biochimica, conservazione dei prodotti coltivati, meteorologia, ecc. Nonostante ciò, quando parla per esempio di agricoltura (scienza che comprende l'uso ben integrato di tutte queste discipline) ostenta sicurezza e spinge il piede sulle impressioni personali, elaborando concetti suggestivi e ammiccanti …

    Passa al bio
    … la pubblicità: «Passa al bio». Molto suggestiva. Una donna, una nuova Eva moderna, regala il frutto della (antica) conoscenza a un uomo mentre questi è preso in faccende quotidiane (attraversa la strada o sale su per una scala mobile). L'uomo accoglie il frutto e lo conserva con amore, felice del dono. Passa al bio, ci dice una voce fuori campo. Anche in questo caso, il dettaglio conta. I! frutto offerto in dono è grande, enorme, troppo colorato, questo si, innaturale. Quel frutto ha bisogno, per raggiungere la suddetta pezza tura, di parecchie forzature agronomiche (concimazione spinta soprattutto), non può essere ottenuto grazie al (parco) metodo biologico. Sarebbe stato più onesto avvertire e dunque preparare i consumatori all'idea che i prodotti ottenuti con rigoroso metodo biologico sono imperfetti, piccoli, e spesso portano sulla buccia i segni degli insetti. Nel caso pubblicitario, invece, si suggerisce sia l'idea che le mele sono prodotte direttamente nel giardino dell'Eden sia che Iahvè non se ne ha a male se qualcuno le coglierà. Uno degli aspetti perversi della modernità è proprio quello di suggerire costantemente l'idea che si può godere di buoni frutti senza la fatica (e le contaminazioni e le maledizioni) necessarie.

    Pensare senza emozionarsi
    … Il chimico Gianni Fochi ricorda uno studio reso noto dai mezzi d'informazione qualche anno fa, dove si sosteneva che un cittadino degli Stati Uniti ingeriva in media 150 microgrammi (millesimi di milligrammo) di antiparassitari al giorno. Di questi, 105 microgrammi erano dovuti a tre composti, fosfato di etilesile, malathion e chlorprophan che però non provocano il cancro nei roditori. Sulla pericolosità degli altri 45 microgrammi non si avevano informazioni. Ora, se bisogna prendere sul serio la capacità dei residui di provocare tumori, in quelle specifiche concentrazioni registrate dallo studio, è necessario considerare anche altre sostanze di uso quotidiano e normalmente inserite nella nostra dieta: una tazzina di caffè contiene 500 microgrammi di agenti cancerogeni (acqua ossigenata e metilgliossale). Ma anche la pasta con il pesto contiene estragolo (principale costituente del basilico). Una foglia ne contiene 750 microgrammi. Sembra quasi quindi che se la natura fosse un' azienda chimica e volesse farsi autorizzare l'uso dei suoi naturali antiparassitari (la pianta produce naturalmente sostanze contro gli insetti o i funghi) avrebbe. poche possibilità di vedersi concedere l'autorizzazione ministeriale.

    Va dove ti porta la patata biodinamica
    … Il grande critico e filologo Erich Auerbach sosteneva che nell'età barocca, nelle corti francesi, era importante mostrare conoscenza di tutto e di niente. La competenza specifica in un settore non solo non era richiesta ma veniva sentita come segno di mancata aristocrazia. Oggi, fatte le dovute proporzioni, questa strana situazione sembra trovare un nuovo terreno fertile. Specialmente per quanto riguarda alcuni giovani usciti dalle facoltà umanistiche o da quella di scienze della comunicazione. La difficoltà di trovare lavoro in quei settori spingono, per esempio, alcuni ragazzi a entrare come volontari (pagati a cottimo) nelle associazioni ambientaliste, con il nobile intento di porre fine non solo ai loro problemi ma anche a quelli del mondo. Le associazioni come Greenpeace richiedono a questi ragazzi un po' del loro tempo per pubblicizzare all'angolo della strada i vantaggi che tutti potremmo avere se li sostenessimo.

    Così ragazzi esperti in teoria delle comunicazioni, scienze politiche, lettere e filosofia, si trovano a dover spiegare alle persone gli effetti della CO2 sul riscaldamento globale o a misurare la quantità di veleno che i nuovi cibi di Frankenstein stanno per portare direttamente nel piatto dei consumatori. Si trovano cioè a dibattere su argomenti sui quali non possiedono competenze specifiche e sono costretti, quindi, quasi come se fossero in una corte seicentesca, a generalizzare il più possibile per favorire la comunicazione. Questo pernicioso atteggiamento fa si che se, invece di un profano, è un discreto conoscitore di genetica a porgere domande meno generali e più tecniche, si accorgerà che il nostro volontario rivela un'imbarazzante ignoranza in genetica, chimica, fisica.

    Spesso a un'indagine accurata questi volontari mostrano insospettate tendenze creazioniste (sono convinti che ci sia stato un tempo in cui i frutti crescevano salubri sugli alberi e i felici abitanti di quel posto si limitavano a cogliere e mangiare e ringraziare Dio). Hanno, cioè, gli stessi sogni che gli immigrati italiani avevano verso l'America, paese dove si pensava i frutti fossero grandi e saporiti e non ci si dovesse spaccare le ossa piegato sulla terra brulla e poco produttiva della Calabria, e talvolta idee sulla cultura scientifica obbiettivamente di destra (la qual cosa mi rovina la giornata).

    È chiaro, la concezione artigianale della vita è tramontata da anni, e non si può essere competenti in tutto, ma nemmeno sostenere con falso spirito naif agli angoli delle strade che ci stiamo allontanando da una presunta età dell'oro. Sarebbe più utile per tutti se i volontari di Greenpeace parlassero di cose solo dopo averle bene studiate, amate o detestate, di modo che possano, per esempio, rispondere per le rime ai genetisti scoccianti, invece che contribuire alla stesura (all'angolo di una strada) di un imbarazzante dialogo dell'assurdo, tra un uomo moderno che si scopre preistorico e uno moderno che ha studiato bene la preistoria.

    A conti fatti
    … è davvero difficile cercare di dimostrare che il tipico non è affatto tale, che è anch'esso soggetto a mutazioni e nuove acquisizioni. Tutto scorre, per fortuna. Ma niente da fare, ci piace credere, per esempio, che il pomodoro Pachino sia da tempo immemorabile originario della costa orientale della Sicilia, e invece è il prodotto di un incrocio, ottenuto sessant' anni fa in Israele, da dove ha poi raggiunto la Sicilia. Non solo, visto che ogni singola varietà vegetale rimane sul mercato tra i sette e i dieci anni, si arriva al paradosso che oggi, per dirla con Roberto Defez, «noi chiamiamo naturale una varietà che non ha più di dieci anni e probabilmente è destinata a essere soppiantata da una nuova varietà più efficiente, più produttiva, meglio adattata a una serie di necessità e richieste del consumatore. Il naturale in realtà non esiste. Una mela naturale sarebbe grande come una ciliegia e nessuno mai ha portato in un supermercato una mela naturale». Forse questa considerazione crea angoscia e per spegnerla si ricorre al creazionismo, che ancora oggi ha i suoi insospettabili adepti.

    In fondo siamo sempre là, alla vecchia questione: la purezza è il vero peccato da cui fuggire. E soprattutto, è la dose che fa il veleno – insomma quello che, per esempio, richiedo non è escludere la chimica innaturalmente e pregiudizialmente dalla mia vita, ma capire gli effetti che le singole sostanze hanno sul mio corpo, in modo da potermi regolare. Qual è la dose che mi avvelena, quella che mi minaccia, e quella che invece mi protegge quando la parola naturale non basta più e mostra evidenti limiti.

    Ancora oggi si associa al termine organico il significato di naturale, ovvero puro, non contaminato. L'agricoltura biologica (o meglio la sua definizione pubblicitaria), per esempio, è detta anche agricoltura organica, una pratica, cioè, che fa a meno di antiparassitari (sostanze chimiche contro gli insetti) e anticrittogamici (contro le malattie derivate da funghi), erbicidi e fertilizzazione di sintesi (concimazione del terreno con almeno tre macroelementi, azoto, potassio e fosforo). In origine il termine «organico», introdotto nel 1807 dal chimico svedese Jons Jacob Berzelius, indicava quei composti che derivano dagli organismi viventi. Per negazione, «inorganico» indicava quei composti derivanti da esseri non viventi. Si pensava che i composti organici fossero particolari, in quanto possessori di un' energia speciale, una sorta di essenza vitale, chiamata appunto vitalismo.

    Di contro, si sosteneva l'impossibilità di produrre in laboratorio un composto organico. Tuttavia, furono proprio gli allievi di Berzelius a riuscire a sintetizzare un cristallo di urea, esattamente identico a quelli del composto organico urea isolato da urina animale, facendo semplicemente reagire in laboratorio ammoniaca con acido cianico. I vitalisti, però, continuarono a sostenere che l'acido cianico era organico, essendo ottenuto da sangue animale. Tempo qualche anno, in molti laboratori furono prodotti composti organici di sintesi. Così venendo meno la teoria del vitalismo si rese necessario cercare un nuovo significato alla parola organico. Nella definizione rientrano quei composti contenenti l'atomo del carbonio; questa nuova definizione (anche se chimicamente non perfetta) è accettata da tutti, tranne da quelli di orientamento mistico che credono ancora all'essenza vitale dei composti «organici» e dei loro derivati.

    fonte inganno ambientalista (A. Pascale)
     
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