BIOTECNOLOGIA

é gia futuro?

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    Leggo su Panorama un articolo che riporto (copiandolo spurodamente e con fatica, dalla rivista) quasi integralmente sul futuro dell'energia che passa attraverso le biotecnologie.
    Il petrolio in questo sito è bandito, ma il petrolio é ancora e lo sarà ancora per molto tempo, una componente importante della nostra società e, se i governi si decideranno a metterlo da parte, non sarà per la presunta nocività (a certe lobbies non interessa affatto la salvaguardia della vita altrui, bensi l'agiatezza della propria) ma solo ed esclusivamente per la possibilità che altre forme energetiche possano costare meno e produrre più ricchezza del carissimo oro nero.

    Ecco dunque l'articolo che ci stupisce e dal quale nasceranno dibattiti e discussioni a favore o contro, spero che da questa discussione possa nascere un segnale forte per le istituzioni, un segnale che possa far conoscere a loro il vostro punto di vista

    Mets

    BIOTECNOLOGIE, il futuro?

    È vero, le risorse del pianeta non sono infinite. Ma il futuro non è per forza cupo: la scienza si prepara a sostituire fonti di energia, materiali e metalli sempre più scarsi e costosi. F ra vent’anni saremo 8 miliardi di persone sulla Terra, come oggi consumeremo energia, viaggeremo e comunicheremo a distanza: una società ipertecnologica, alimentata da materie prime il cui prezzo sta già minacciando di superare i massimi storici. Sono sempre più cari petrolio, gas, rame, silicio, ferro, platino e altri metalli rari. Nel 2030, tuttavia, scienziati e ricercatori avranno trovato nuove soluzioni per affrontare l’emergenza. Un ottimismo ingiustificato? No, perché queste innovazioni si possono già intravedere.

    Le grandi istituzioni mondiali che monitorano le fonti energetiche, come l’International energy agency e il World energy council, stimano che fra vent’anni petrolio e gas saranno ancora la principale risorsa per garantire elettricità e calore, ma accanto a sole, vento, acqua e geotermia. In base a previsioni del dipartimento dell’Energia americano, inoltre, in futuro lavoreranno per noi batteri geneticamente modificati: produrranno etanolo, idrogeno e petrolio.

    Oggi, in modo sperimentale, alcuni laboratori estraggono già da foglie, fusto e radici delle piante il bioetanolo di seconda generazione, in grado di sostituire la benzina; ha le stesse proprietà di quello ricavato dalle coltivazioni, ma non fa lievitare i prezzi di granturco, barbabietola o grano. Questo perché è ottenuto dalla cellulosa, una delle risorse più diffuse sul pianeta.

    Il processo è simile alla fermentazione: «Il 66 per cento della pianta di mais non è commestibile» precisa Paul Vigley, chimico della Dupont. «Alla cellulosa, ricavata dagli scarti del raccolto, vengono aggiunti enzimi che la scompongono in glucosio» dice Vigley. «Poi il batterio Zymomona mobilis converte la metà del glucosio in etanolo. Nei nostri test abbiamo raddoppiato la quantità di biocarburante per ettaro rispetto a quello che oggi si ottiene dalle pannocchie di mais».

    Nel frattempo la Range Fuel ha ricevuto più di 75 milioni di dollari dal governo per costruire il primo impianto al mondo capace di fabbricare su larga scala etanolo partendo proprio dalla cellulosa.

    La possibilità futura di ottenere energia passa anche dalle mucche: all’Università dell’Ohio hanno trovato un metodo per produrla dalla cellulosa e dai fluidi biologici dei bovini, ricchi di microbi. «L’energia è ricavata dalla scissione della cellulosa per opera dei batteri» ha spiegato Rismani-Yazdi, che ha guidato il lavoro. I ricercatori estraggono il fluido dal rumine delle mucche con una cannula. Per creare corrente il liquido viene messo, con la cellulosa, nel polo negativo di una cella energetica. Qui una membrana, composta da un materiale in cui si muovono i protoni, separa la parte negativa da quella positiva. Il movimento di protoni ed elettroni assicura la corrente elettrica.

    Nella società del futuro saranno sempre loro, i batteri, a fornire petrolio, prevede la Ls9, azienda fondata da scienziati delle Università di Stanford, Harvard e Boston. I ricercatori hanno inserito nei microbi geni estranei (o progettati al computer e poi sintetizzati in laboratorio). Questi microrganismi ingegnerizzati sono in grado di secernere molecole di idrocarburi della lunghezza e della forma desiderate, prive di un inquinante come lo zolfo.

    All’Università della Pennsylvania, invece, gli scienziati sono riusciti a generare gas idrogeno da batteri immersi nell’acido acetico. E lo scienziato imprenditore Craig Venter promette che il suo batterio geneticamente manipolato, il Mycoplasma laboratorium, funzionerà come una sorta di minifabbrica per produrre sostanze desiderate (tipo l’idrogeno), oppure come una spugna per assorbire CO2.

    La stessa anidride carbonica potrebbe diventare una materia prima: da questo gas ricercatori della Novomer hanno ottenuto a costi convenienti un nuovo tipo di plastica, che potrebbe contribuire alla riduzione di emissioni dannose nell’atmosfera. E alla Calera, finanziata dal guru del capitale di ventura californiano Vinod Khosla, la scommessa è ottenere dalla CO2 cemento per costruire edifici e infrastrutture. L’acciaio, invece, potrebbe essere sostituito da strati sovrapposti di materiali, ognuno delle dimensioni di miliardesimi di metro, come la «steel plastic»: trasparente e leggera come la plastica, ma resistente come l’acciaio, una lega del sempre più costoso ferro.

    E dove trovare metalli a un costo competitivo, quando i prezzi saliranno alle stelle per le miniere in via d’esaurimento? I fondali dell’Oceano Indiano e del Pacifico meridionale nascondono noduli di ferromanganese, aggregati di sedimenti larghi 10-20 centimetri ricchi di nichel, cobalto e rame. Ma sono depositati a circa 3 mila metri di profondità e l’estrazione resta difficile.

    «Per portare alla luce i metalli che servono si potrebbe sfruttare anche il vulcanismo delle dorsali mediooceaniche» ipotizza Enrico Bonatti, geologo all’Università di Pisa. «Qui l’acqua ad alte temperature estrae dalle rocce metalli che si depositano sotto forma di solfuri. Un fenomeno che possiamo osservare su piccola scala nel Tirreno. Ai margini dell’Atlantico, inoltre, si formano depositi di fosforiti dove si concentrano terre rare come ittrio e lantanio».

    L’idea quindi è quella di pescarli con tecnologie mirate e poi sottoporli a trattamenti chimici per sfruttarli.

    Un’alternativa? Nel 2030, le soluzioni più sostenibili arriveranno dalle nanotecnologie. Il segreto è nell’elettronica stampabile, un processo di produzione basato su semiconduttori organici in grado di cambiare la forma di lampadine, monitor e televisori. Immaginate un dispositivo simile a una stampante «ink jet», dove molecole o polimeri organici sostituiscono l’inchiostro spruzzato sul foglio. Si possono versare su una superficie, rigida o flessibile, e la corrente fa illuminare i pixel costituiti da diodi emettitori di luce organici (oled).

    Vivremo in case con pareti luminose, useremo cellulari pieghevoli e televisori arrotolabili. «Pochi chilogrammi di molecole potrebbero soddisfare la richiesta mondiale» afferma Fabio Biscarini dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr. «Questo avrà enormi vantaggi per l’ambiente, perché sono tecnologie che consumano poca energia e sono più facili da smaltire e riciclare». Riducendo il bisogno di andare a cercare metalli preziosi in giro per il pianeta.

    L’altra promessa dell’elettronica stampabile sono i transistor di dimensioni nanoscopiche con decine di possibili applicazioni, dai sensori ai telefonini e ai computer.

    Alcuni segnali sono visibili: la Sony ha lanciato il prototipo della prima televisione oled al mondo, spessa quanto una monetina. E da 2 mesi la libreria online Amazon ha messo in vendita il Kindle, un dispositivo per leggere libri e giornali da un display portatile: non è oled, ma ha una luminosità simile a quella della carta e promette di risparmiare gli alberi delle foreste.

    L’innovazione da parte di molecole e polimeri sta già investendo il settore dell’energia con i pannelli fotovoltaici organici, senza silicio. Questo minerale è il secondo elemento più presente sul pianeta dopo l’ossigeno, ma quello per pannelli fotovoltaici (monocristallino e policristallino) deve avere una purezza eccezionale, rara. Una scarsità che ne ha fatto già schizzare il prezzo.

    «La miniaturizzazione delle tecnologie basate sul silicio» evidenzia Claudio Nicolini, presidente della Fondazione Elba e direttore del Nanoworld institute all’Università di Genova, «ha costi di produzione altissimi che crescono con progressione geometrica al diminuire delle dimensioni dei chip. Saranno surclassate ben prima di raggiungere la scala nanometrica. Solo il solare organico basato su nanocompositi e biopolimeri garantisce significativi risultati a breve termine, con bassi costi e un’efficienza in costante crescita».

    Nicolini è stato uno dei primi scienziati al mondo a introdurre una ventina di anni fa le nanotecnologie e la bioelettronica molecolare. «Entro la fine del secolo probabilmente vedremo i biocomputer, capaci di elaborare le informazioni come il nostro cervello» osserva. Sono progressi scientifici che vanno ben oltre il 2030, ma che potrebbero essere radicali come mai prima nella storia umana. È il domani del domani, un territorio in cui futuro e fantascienza confinano.

    Edited by MetS - 23/1/2008, 03:12
     
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