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  1. moliere
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    Migliaia di gigawatt dal cuore della terra

    Energia potenziale sfruttabile pari a mille o duemila volte il consumo elettrico della nazione industriale più grande del mondo: gli Usa. Presente nelle rocce calde del sottosuolo, in vari punti del continente nordamericano. Calore che potrebbe essere estratto e trasformato in massicci volumi di elettricità, grazie alla geotermia avanzata Egs (Enhanced geothermal systems).
    Qui Jeff Tester, docente del Mit, è forse il maggiore esperto negli Usa. Un anno fa, su richiesta del Doe (il Dipartimento dell'Energia) avviava un team di altri 18 scienziati che, lo scorso febbraio, ha ultimato uno studio ponderoso: «Una rivisitazione completa dell'intero potenziale geotermico Usa. Su tutte le informazioni geologiche disponibili. E una valutazione approfondita dello stato dell'arte della tecnologia. Fino a una serie di raccomandazioni strategiche».
    Tester ha un affare di cuore ormai trentennale sulla geotermia. Negli anni 70, ricercatore a Los Alamos, fu uno dei primi a intuirne il futuro. Sotto la sferza del primo shock petrolifero si mise al lavoro sui dati geologici rivelati dai test atomici sotterranei. E i team di Los Alamos individuarono poco lontano, a Fenton Hill, una formazione di rocce sotterranee, a circa un chilometro di profondità, molto calde. E concepirono l'idea di una sorta di «Larderello artificiale». Ovvero di pompare nelle rocce acqua a pressione, fratturarle, creare così un grande bacino sotterraneo caldo e quindi, da un altro pozzo, estrarne il risultante vapore per le turbine elettriche.
    Fenton Hill, nonostante anni di lavoro, non ebbe successo. E così altri esperimenti in Gran Bretagna, Giappone e Australia. L'Hot dry rock si rivelò una frontiera ben più difficile del previsto, con il comportamenti imprevedibili delle fratturazioni, del bacino sotterraneo, dei detriti. Però vi fu chi non mollò, come il consorzio franco-tedesco (sponsorizzato dall'Unione europea) che a Soultz continuò a sperimentare. E la Geodynamics australiana (box a lato). «Oggi le tecnologie, anche mutuate dall'industria petrolifera, sono andate avanti di un ordine di grandezza - spiega Tester - e a Soultz i risultati sono molto incoraggianti. Se loro raddoppiassero il sistema sotterraneo, ottenuto dopo anni di affinamenti, oggi potrebbero già essere sulla soglia della produzione industriale. Anche in Australia ci sono vicini. Per questo abbiamo fortemente raccomandato al Governo Usa, nel nostro studio, di rivitalizzare tutta la filiera geotermica avanzata dopo anni di stasi perché il potenziale è davvero enorme. E le tecnologie molto vicine alla soglia di competitività».
    Il Congresso degli Stati Uniti ha subito risposto, avviando una giornata di audizioni sulla proposta del Mit. «Ai parlamentari, ho avanzato un proposta. Un investimento pubblico di un miliardo di dollari in quindici anni - la stessa cifra di una grande centrale a carbone - per l'avvio di almeno quattro siti geotermici avanzati, sia nella costa ovest che nel Texas, sufficienti per raffinare e mettere a punto le tecnologie. E per creare modelli, poi, per le aziende. La rivitalizzazione di questa fonte rinnovabile è infatti solo questione di di investimenti».
    E non di tecnologie? «Certo, il cammino dell'Hot Dry Rocks non è stato facile. Ma oggi abbiamo strumenti come la perforazione direzionale e una gamma di sensori del profondo che prima non avevamo. E poi, un volta avviati fondi pubblici per la ricerca, credo che sulla geotermia vi sarà un'autentica esplosione di idee, di progetti, e di alternative. È il segnale politico che conta. Quando Kennedy lanciò l'idea dell'uomo sulla luna non c'erano le tecnologie. Ma poi furono create».
    Per esempio: robot per scavare gallerie sotterranee, nuovi sensori per leggere gli strati caldi profondi senza dover rischiare costose trivellazioni di prova e così via. «L'importante è il risveglio della geotermia. Oggi limitata, anche se in 70 Paesi, alle sole aree in cui naturalmente le rocce calde sono a contatto con terreni umidi, e quindi producono vapore. Noi invece vogliamo andare oltre, anche dove questa fortunata coincidenza naturale non c'è. E questo progetto ha un chiaro connotato internazionale».
    Per anni Tester ha lavorato con i geotermici italiani, e con l'Enel, e li conosce bene. «A Fenton Hill chiamammo un gruppo di italiani per aiutarci. Tuttora l'Italia è all'avanguardia mondiale nella geotermia. Sulla nuova frontiera, e noi lo raccomandiamo chiaramente nello studio, ci deve essere spazio per una forte cooperazione internazionale, in primis tra Usa e Europa. E le competenze italiane, sviluppate da oltre un secolo nell'area di Larderello, potranno avere un ruolo di primo piano».
    Anche perché gli studi del Iirg-Cnr di Pisa mostrano che, sia nella penisola italiana che sul fondo del Tirreno (ma forse in un fascia sottomarina fino alla Turchia) vi è un sistema di rocce calde di enormi dimensioni. «L'Italia e il Mediterraneo sono geologicamente il frutto dello scontro tettonico tra due grandi zolle continentali, l'Africa e l'Eurasia. Non c'è da sorprendersi se là la crosta terrestre sia più sottile e calda. E quindi il potenziale geotermico di enormi dimensioni».
    Basterà la geotermia avanzata a risolvere i problemi del riscaldamento globale e del declino delle fonti fossili?
    «Credo possa dare un massiccio contributo, trattandosi di energia rinnovabile, economica e a emissioni zero. In più è anche di tipo non intermittente e di taglia grande. Però, in tutta onestà, ritengo che la geotermia avanzata sia solo uno degli elementi del mix del futuro. Anche per gli Usa, e per evidenti motivi di sicurezza e diversificazione delle fonti. Inoltre non tutti hanno un sottosuolo caldo e geotermia abbondante come l'Islanda, che oggi arriva a prevedere di produrvi anche l'idrogeno per i suoi autoveicoli.
    Ci sono anche tanti altri Paesi che vivono su formazioni geologiche fredde. Però, a lungo termine, si potrà trarre energia anche là, con le tecnologie consolidate e andando oltre il record di trivellazione attuale fermo a dieci chilometri». A quel punto l'energia interna del pianeta terra, incalcolabile, sarà disposizione proprio di tutti. E chi avrà in mano la geotermia avanzata, disporrà di un pari asset competitivo industriale.
    [email protected]

    Il caso Geodynamics
    - Geotermia avanzata. Il Cooper Basin, nel Nord-Est dell'Australia, è un territorio grande come mezza Liguria. Ma ha sotto di sé, a quattromila metri di profondità, una formazione di graniti a 250-300 gradi. Con un potenziale energetico di molte migliaia di megawatts. Questa la motivazione che nel 2001 spinse alcuni geologi universitari australiani all'avvio dell'attuale Geodynamics, la prima compagnia privata al mondo sulla geotermia di seconda generazione, detta anche Hot rocks energy.
    Ai fondatori sono stati necessari sei anni per far partire l'azienda e poi le trivellazioni, tra leggi da cambiare, finanziamenti e contratti con le compagnie elettriche. E anche un po' di sfortuna. Il primo doppio pozzo (uno per l'immissione dell'acqua e il secondo per l'estrazione del vapore), ambedue di 4.300 metri, erano pronti già due anni fa, con il bacino artificiale sotterraneo già avviato e con le prime fuoriuscite di vapore. Un incidente irreversibile però li ha bloccati e ora l'azienda ne sta perforando un secondo, poco lontano. E conta di completare la sua prima centrale geotermica entro i prossimi tre anni, con una produzione prevista di 40 megawatt (per il mercato locale). Se tutto andrà bene la Geodynamics prevede poi, in rapida successione, di aprire un'altra dozzina di centrali geotermiche nei successivi cinque anni. E poi di esportare la sua tecnologia in tutto il mondo.

    Saluti

    Moliere
     
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0 replies since 28/1/2008, 16:54   456 views
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