Progetto PREMA

smaltimento reflui e riduzzione Azoto

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  1. francesco1966
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    A breve un esperto tecnico informatico africano posterà il Progetto PREMA, che mi è stato gentilmente segnalato da PIRANDELLO98, che ringrazio fin d'ora.
    Per chi è appassionato di biogas sarà sicuramente un utile riferimento.
    Portate pazienza................. :uitar:

    Purtroppo IL TECNICO non è un gran tecnico (anzi penso che non lo pago proprio) e i tempi si stanno allungando, mi scuso ancora per i disguidi, speriamo che si possa inserire questa interessante relazione del CRPA in tempi relativamente brevi (si sà che in africa il tempo è rallentato).....speriamo bene....
    PS chi volesse rivolgere insulti e/o altro al tecnico mi mando pure copia degli stessi che provvederò a farglieli avere... :zero16: :zero02:

    francesco......

    allora intanto inserisco la prima parte solo con il testo poi vedremo per le immagini e tabelle...

    PREVENZIONE E RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI AZOTO E DEI GAS AD EFFETTO SERRA PROVENIENTI DALL’ATTIVITÀ DELL’ALLEVAMENTO ZOOTECNICO
    Tecniche per la riduzione dell’impatto ambientale derivante dall’impiego degli effluenti zootecnici
    Riduzione del carico d’azoto dei liquami suinicoli

    1.IDENTIFICAZIONE DEL PROBLEMA.............................................................4
    1.1.PRODUZIONE E CARATTERISTICHE DEL LIQUAME SUINICOLO..............8
    1.2.L’UTILIZZO AGRONOMICO: ASPETTI ECONOMICO GESTIONALI..............9
    2.DESCRIZIONE DEI PROCESSI UTILIZZATI PER LA
    DEPURAZIONE DEGLI EFFLUENTI SUINICOLI..............................................12
    2.1.SEPARAZIONE SOLIDO-LIQUIDO.............................................................12
    2.1.1.Separatori meccanici........................................................................12
    2.1.2.Centrifughe.......................................................................................14
    2.2.TRATTAMENTO DI FLOTTAZIONE...........................................................16
    2.3.IL TRATTAMENTO BIOLOGICO ...............................................................18
    2.3.1.Le cinetiche dei processi biologici....................................................18
    2.3.2.Impianti a flusso continuo...............................................................21
    2.3.3.Caratteristiche dei reattori SBR (sequencing batch reactor)...........22
    2.3.4.Sedimentabilità dei fanghi...............................................................24
    2.4.SEDIMENTATORI.....................................................................................25
    2.5.DIGESTIONE ANAEROBICA DEI FANGHI.................................................27
    2.6.IL COGENERATORE.................................................................................29
    3.VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DI IMPIANTI ESISTENTI OPERANTI
    SUGLI EFFLUENTI ZOOTECNICI....................................................................31
    3.1.DEPURATORI OPERANTI CON FASE BIOLOGICA A FLUSSO CONTINUO..31
    3.1.1.Allevamento Casaletto di Sopra (CR)................................................31
    3.1.2.Allevamento Meldola (FO)..................................................................35
    3.2.DEPURATORI OPERANTI CON FASE BIOLOGICA A SBR.........................36
    3.3.CONSIDERAZIONI ...................................................................................40
    4.DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DI TRATTAMENTO
    PROPOSTO PER LA RIDUZIONE DEL CARICO DI AZOTO..............................41
    4.1.SCHEMA DI FUNZIONAMENTO................................................................41
    4.1.1.Definizione delle portate e separazione frazione solida.................42
    4.2.SOLUZIONE IMPIANTISTICA CON FLOTTATORE AD ARIA INDOTTA......43
    4.2.1.Dimensionamento del flottatore ad aria indotta.............................44
    4.2.2.Dimensionamento della fase biologica.............................................45
    4.2.3.Dimensionamento della digestione anaerobica...............................49
    4.2.4.Gruppo di cogenerazione .................................................................51
    4.2.5.Riepilogo dei costi di gestione dell’impianto...................................51
    4.3.SOLUZIONE IMPIANTISTICA CON CENTRIFUGA.....................................52
    4.3.1.Dimensionamento centrifuga ad asse orizzontale...........................53
    4.3.2.Dimensionamento della fase biologica.............................................54
    4.3.3.Produzione di fanghi........................................................................54
    4.3.4.Riepilogo dei costi di gestione..........................................................55
    4.4.SOLUZIONE IMPIANTISTICA CON SEDIMENTATORE PRIMARIO............57
    4.4.1.Dimensionamento del sedimentatore primario................................57
    4.4.2.Dimensionamento del trattamento biologico...................................58
    4.4.3.Dimensionamento della digestione anaerobica...............................59
    4.4.4.Disidratazione dei fanghi.................................................................60
    4.4.5.Riepilogo costi di gestione................................................................60
    4.5.CONFRONTO CON LA GESTIONE “TRADIZIONALE” DEL LIQUAME........61
    4.5.1.Il bilancio di massa per l’azoto........................................................64
    5.ASPETTI OPERATIVI...................................................................................65
    5.1.DESCRIZIONE DELL’ALLEVAMENTO.......................................................65
    5.2.DESCRIZIONE GENERALE DELL’IMPIANTO............................................66
    5.3.DESCRIZIONE DELLE UNITÀ CHE COMPONGONO L’IMPIANTO..............68
    5.4.CARATTERISTICHE DELLE VASCHE E DELLE APPARECCHIATURE
    INSTALLATE...................................................................................................68
    5.5.MONITORAGGIO IMPIANTO.....................................................................70
    6.CONCLUSIONI ............................................................................................74
    7.BIBLIOGRAFIA............................................................................................75
    8.ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI................................................................76
    9.ELENCO DELLE UNITÀ DI MISURA.............................................................77

    1.IDENTIFICAZIONE DEL PROBLEMA
    Secondo i dati forniti dall’ISTAT relativi al 5° censimento dell’agricoltura italiana del 2000, il patrimonio suinicolo italiano ammonta a circa 8.600.000 capi.
    Esaminando i dati dell’ultimo decennio, cioè gli anni a noi più vicini, risulta che la consistenza del numero totale di suini allevati è rimasta pressoché invariata mentre si è assistito ad una ridistribuzione del carico. Il numero di suini allevati, sempre secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, sono distribuiti per regione come da Tab 1:

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    La Lombardia con una consistenza superiore ai 3.800.000 capi risulta di gran lunga la prima regione italiana. Più della metà dell’intera produzione suinicola lombarda è concentrata nelle province di Brescia e Mantova.

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    Da un’analisi più approfondita dei dati emerge che il numero degli allevamenti nell’ultimo decennio si è ridotto in numero mentre è aumentata considerevolmente la dimensione degli stessi; a livello nazionale, la riduzione media percentuale del numero degli allevamenti suinicoli, dagli anni 90 ad oggi, è di circa del 45 %.
    In Lombardia per esempio, si è verificato un decremento del numero delle aziende suinicole pari al 53 % del totale e contemporaneamente si è assistito ad un incremento percentuale del numero totale di capi suini allevati del 30 %. L’allevamento suinicolo intensivo che opera su base industriale, concentrando in unica azienda agricola migliaia di capi, ad oggi, è la tipologia di allevamento nettamente predominante nel nostro Paese. In particolare, ci si orienta sempre più sulla tipologìa a ciclo chiuso con conseguente notevole incremento del numero delle scrofe. Spesso all’azienda sono inoltre annessi caseifici industriali. Se consideriamo ancora come caso esemplificativo la realtà lombarda, nella provincia bresciana, nel corso dell’ultimo decennio, si è verificato un incremento del 58% del numero totale di capi suini a fronte di una diminuzione delle aziende pari al 56 % del totale. In alcuni comuni mantovani e bresciani, la densità dei suini raggiunge anche i 17 capi suini per ettaro coltivabile, considerando tutta la SAU del territorio comunale sulla quale insistono pure i bovini.

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    Figura 1: mappa della distribuzione dei suini per comuni della Lombardia

    Questa processo di concentrazione degli allevamenti ha avuto come ovvia conseguenza un notevole incremento delle quantità di liquami prodotte per ogni singola azienda, per lo smaltimento dei quali l’allevatore deve garantire il rispetto dei numerosi vincoli imposti. Si tratta di un aspetto nuovo della gestione aziendale, che comporta costi aggiuntivi di cui l’allevatore deve tenere conto nella scelta dei propri orientamenti tecnico-economici. Con un’analisi in cui si sono prese in considerazione le consistenze numeriche dei suini e dei bovini per ogni comune lombardo ed il rispettivo valore di SAU, si è potuto determinare il carico medio di azoto per ettaro coltivabile. Per calcolare il valore di azoto totale annuo si è assunto un carico giornaliero pari a 0.31 kg N/t P.V per i suini e un carico giornaliero di 0.23 kg N/t P.V per i bovini.

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    Figura 2: mappa del carico di azoto per ettaro dei comuni della Lombardia

    In alcune aree, la quantità d’azoto dovuta al solo spandimento dei liquami può risultare in eccesso rispetto al fabbisogno delle colture. Attualmente questo tipo di utilizzo agronomico è sicuramente la soluzione maggiormente diffusa per lo smaltimento degli effluenti zootecnici grazie ai naturali vantaggi che assicura, in relazione al contenimento dei costi ed alla possibilità di “sfuggire“ ai controlli più stringenti previsti dagli Enti responsabili dell’ambiente. In aree ad alta concentrazione zootecnica esiste un insufficiente rapporto terreno/carico animale che, soprattutto laddove il suolo presenta caratteristiche di particolare permeabilità, induce a situazioni di spiccata “vulnerabilità”. E' necessario sottolineare però che con l’applicazione del DLgs 152/99 e l’attuazione delle prescrizioni tecniche dettate dall’art. 38, diventerà essenziale una verifica delle varie situazioni che potranno, in alcuni casi, risultare problematiche a causa, principalmente, dell’eccessivo carico d’azoto. In questa ottica diventa importante verificare la concreta possibilità di effettuare un trattamento in grado di ridurre il carico d'azoto degli effluenti, al fine di poterne modulare l'uso in funzione delle reali esigenze delle colture e del contenimento delle percolazioni nei terreni. L’interesse ad indagare l’efficienza di trattamenti specifici, finalizzati all’abbattimento del carico azotato degli effluenti zootecnici, è ulteriormente aumentato dalla necessità di riavviare lo sviluppo tecnologico che in questi anni ha subito un sostanziale arresto a causa, principalmente, proprio della diffusione dell’utilizzazione agronomica quale metodo di “smaltimento”. L’obiettivo di questo lavoro è proprio quello di proporre un possibile schema di trattamento degli effluenti che sia economicamente e tecnicamente sostenibile e consenta il recupero della compatibilità ambientale ad aziende zootecniche scarsamente dotate di superficie agricola od ubicate in aree classificate come vulnerabili. Si procede inquadrando le caratteristiche del liquame suinicolo e le possibilità offerte per il riutilizzo agronomico. Segue una descrizione dei principali trattamenti adottati per la depurazione degli effluenti in ambito zootecnico e un successivo esame di alcune installazioni esistenti presso allevamenti operativi. Si valuta dal punto di vista puramente teorico il funzionamento di un impianto di tipo SBR (sequencing batch reactor) e si integra il lavoro con il monitoraggio di un impianto funzionante su scala reale.

    1.1. PRODUZIONE E CARATTERISTICHE DEL LIQUAME SUINICOLO

    Il liquame suinicolo presenta caratteristiche sostanzialmente differenti a seconda delle tipologìe dell’allevamento e precisamente del fatto che si tratti o meno di allevamento a ciclo chiuso, o specializzato in una fase del ciclo di vita degli animali. Inoltre incidono sulla natura degli effluenti le metodologie adottate per l’alimentazione e la rimozione e l’allontanamento delle deiezioni. Generalmente le porcilaie prevedono la presenza di una parte di pavimento grigliato o fessurato attraverso la quale le deiezioni si raccolgono in una o più fosse sottostanti. La veicolazione delle deiezioni dalle fosse alle vasche di raccolta liquami avviene per tracimazione sopra soglie, o mediante il sollevamento di una paratia; più recentemente è stato adottato anche un sistema di allontanamento di fondo mediante tubazioni detto vacuum system . Nelle zone parto e nei reparti svezzamento la pulizia è più accurata, è prassi infatti effettuare periodici lavaggi delle pavimentazioni. Il flusso di liquame è quindi discontinuo nel tempo e può presentare una variabilità delle concentrazioni dovute alle modalità di pulizia. Esigenze sanitarie comportano inoltre trattamenti di medicazione degli animali che provocano difficoltà per la gestione delle fasi di depurazione biologiche. Queste differenze vanno ad incidere notevolmente sui volumi avviati a depurazione e sulle caratteristiche dell’effluente. Occorre inoltre precisare che le possibilità di ricircolo di una parte della portata per l’asportazione delle deiezioni dalle fosse, comporta un’ulteriore variazione in termini di concentrazione dei parametri più significativi. E’ quindi opportuno fare riferimento ai dati relativi ai carichi espressi in funzione del peso vivo presente nell’azienda. Per realizzare uno studio di applicazione generale si farà riferimento agli scarichi tipici di un allevamento a ciclo chiuso, che possono essere considerati abbastanza caratteristici delle tipologie più diffuse nel nostro paese. La tabella 1 mostra i parametri presi in considerazione:

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    Per quanto riguarda la dotazione idrica si assumerà un valore rappresentativo pari a 0.2 m3/d t P.V., scelto considerando i consumi tipici di allevamenti gestiti secondo moderne tecniche di alimentazione dei suini e rimozione delle deiezioni, in funzione del successivo trattamento depurativo. Durante l’esame delle installazioni esistenti, tuttavia, si è costatato che le modalità di pulizia delle fosse sottostanti le stalle possono alterare notevolmente le caratteristiche dell’effluente. In particolare in alcuni allevamenti lo svuotamento avviene per tracimazione, previa sedimentazione all’interno delle fosse. In questo caso i liquami, non più freschi, presentano minori concentrazioni in termini di sostanza secca e un maggior tenore di azoto in forma ammoniacale; si assiste inoltre e una riduzione del COD a causa dei fenomeni fermentativi. Le esigenze di salubrità dell’ambiente interno all’allevamento comportano però una sempre maggiore attenzione affinché un tempestivo allontanamento delle deiezioni riduca le emissioni gassose, che sono associate a tali fenomeni fermentativi. E’ d’altro canto auspicabile una tempestiva rimozione delle deiezioni anche per ottenere migliori risultati in termini di depurazione.

    1.2. L’UTILIZZO AGRONOMICO: ASPETTI ECONOMICO GESTIONALI

    L’utilizzo agronomico dei liquami provenienti dagli allevamenti costituisce il principale metodo di riciclo dei nutrienti e della sostanza organica delle deiezioni animali. Negli ultimi decenni però la presenza, in determinate aree, di allevamenti suinicoli intensivi ha provocato una offerta di liquame superiore alla superficie disponibile nelle campagne limitrofe; la carenza di terreni ha comportato conseguentemente, in alcuni casi, la distribuzione sui campi di quantità eccessive (fino a 1000 m3/ha). L’utilizzo dei liquami è infatti assoggettato a delle limitazioni che stabiliscono i tempi e le modalità del riutilizzo agricolo, che deve essere controllato per evitare che le dosi siano troppo elevate. In particolare la normativa impone dei limiti riguardo al contenuto in nutrienti che è possibile smaltire per area di terreno coltivato e vieta la distribuzione sulle superfici non coltivate. Per un corretto utilizzo agronomico degli effluenti zootecnici occorre quindi che gli allevatori prendano bene in considerazione diversi aspetti, come i tempi di spandimento e le quantità da smaltire, per evitare deprecabili danni all’ambiente, come inquinamento del suolo, dell’acqua di falda e dell’aria. L’efficienza agronomica nell’utilizzo dei nutrienti è correlata, fra le altre cose, al periodo di distribuzione: generalmente si riscontrano migliori risultati in primavera, grazie all’elevata attività vegetativa delle piante e alla conseguente maggior “domanda” di nutrienti. Per contro la quiescenza dell’attività fisiologica delle piante da una parte, e la maggior frequenza delle precipitazioni dall’altra, impongono di evitare la distribuzione nel corso del periodo invernale. Nell’ambito dei problemi ambientali sopra descritti e dei vincoli conseguenti, l’allevatore è costretto alla più oculata gestione delle risorse al fine di contenere i costi di distribuzione del liquame: diventa quindi essenziale una corretta valutazione delle attrezzature più idonee allo scopo.
    Per quanto riguarda la movimentazione degli effluenti è evidente che le frazioni solide sono più facilmente gestibili rispetto a quelle liquide, che presentano maggiori difficoltà di trasporto. Sono quindi nell’interesse delle aziende la separazione della componente solida e la riduzione del tenore dei nutrienti in quella liquida, per potere da un lato semplificare il trasporto dei solidi, e dall’altro utilizzare così maggiori volumi della frazione chiarificata sui terreni prossimi all’allevamento. Per meglio capire l’importanza dei costi in gioco ed il conseguente interesse a poter organizzare la distribuzione il più possibile in prossimità dell’allevamento è opportuno esaminare, sia pure rapidamente, i sistemi di distribuzione dei liquami oggi disponibili. La distribuzione dei liquami sui terreni è generalmente effettuata con carribotte dotati di serbatoi, per lo più in pressione, che vengono utilizzati sia per la fase di trasporto che per quella di spandimento. Nei serbatoi a pressione il carico e lo scarico sono effettuati mediante una pompa per l’aria, che funziona come depressore in fase di carico e come compressore in fase di scarico. Nelle cisterne a pressione atmosferica il liquame è invece convogliato agli ugelli di distribuzione mediante una pompa centrifuga o volumetrica. Tra gli organi di distribuzione con cui vengono equipaggiati i carrobotte: il piatto deviatore, gli interratori, il getto irrigatore e le barre di distribuzione raso terra, quello maggiormente sollecitato è il piatto deviatore, che garantisce una omogeneità di distribuzione del liquame per una larghezza di lavoro di 8-10 m. Un’altra tecnica di distribuzione dei liquami prevede la separazione delle fasi di trasporto e di spandimento, al fine di limitare il compattamento del suolo e di consentire la concimazione del terreno lavorato in prossimità della semina o con coltivazioni in atto. Per ridurre i costi relativi alla fase di trasporto, che incidono notevolmente sul costo complessivo della distribuzione, si ricorre all’impiego di macchine su ruote di elevata capacità o in alternativa a tubazioni. Per quanto riguarda il trasporto su ruote, mentre per le cisterne in pressione utilizzabili anche per lo spandimento la capacità massima consentita è di 20 m3, per cisterne utilizzabili solo per il trasporto la capacità complessiva può raggiungere i 35 m3. L’utilizzazione di condotte alimentate in pressione è l’altra soluzione possibile. Le tubazioni sono generalmente realizzate in PVC e vengono mantenute in pressione da pompe che devono garantire una velocità del flusso non inferiore ai 0,7-0,8 m/s, al di sotto della quale si rischiano sedimentazioni della fase solida. Per la fase di distribuzione si utilizza il sistema ombelicale semovente, detto anche rotolone, o in alternativa il sistema ombelicale fisso. Il primo sistema è costituito da un carrello con tamburo avvolgente circolare che trascina una tubazione flessibile che all’estremità monta un secondo carrello su cui è disposto l’organo di distribuzione. Il sistema ombelicale fisso è un impianto di irrigazione fisso con tubazioni interrate. In entrambi i casi la presa del liquame può essere la vasca di stoccaggio aziendale oppure una autocisterna. Il primo caso si verifica se l’azienda utilizza impianti a tubazione per il trasporto a limitate distanze (max 2 Km), il secondo è adottato nei casi in cui l’azienda possiede terreni distanti dalla vasca di stoccaggio. I costi di trasporto e di distribuzione in relazione alla distanza e al mezzo adottato si possono ricavare dal seguente grafico (figura 3):

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    Per la determinazione dei costi sono stati utilizzati i parametri riportati in tabella 4:

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    2.DESCRIZIONE DEI PROCESSI UTILIZZATI PER LA DEPURAZIONE DEGLI EFFLUENTI SUINICOLI

    2.1. SEPARAZIONE SOLIDO-LIQUIDO

    Nei liquami suinicoli si trovano solidi sospesi di varia granulometria, presentandosi il liquame come una miscela di feci, urine, residui di lettiera e mangime diluito dall’acqua di lavaggio. A seconda della dimensione, questi solidi sono classificati come particelle grossolane (dimensione >0,1 mm) e come particelle fini (dimensione <0,1 mm). Nel processo di depurazione risulta conveniente eliminare dai liquami questi solidi grossolani perché sono poco biodegradabili, o meglio lo sono in tempi lunghi, e perché in questo modo si semplificano le fasi successive di trattamento riducendo i consumi per pompe, miscelatori e aeratori. Con la separazione è possibile ottenere una frazione chiarificata, che viene inviata alla fase successiva di ulteriore separazione dei solidi fini (per flottazione, sedimentazione ecc.), e una frazione solida, di consistenza palabile, che dopo un opportuno periodo di stoccaggio è utilizzata come ammendante dei terreni. L’industria propone differenti opzioni per operare la separazione dei solidi grossolani dal flusso di liquame ed essendo questa unità di processo già da tempo in uso presso gli allevamenti sono ben conosciuti pregi e difetti dei vari dispositivi la cui scelta dipende dalle efficienze richieste e dai trattamenti che seguono la separazione solido/liquido.

    2.1.1. Separatori meccanici

    Per la separazione dei solidi grossolani i dispositivi utilizzati sono i rotovagli, i vibrovagli e i vagli statici. Nei vagli rotativi la superficie di separazione è costituita da un tamburo cilindrico con pareti formate da una rete a maglie sottili (0,8-2 mm). La rotazione del tamburo con l’ausilio di spazzole raschianti favorisce lo sgrondo del liquido e la veicolazione dei solidi verso la zona di scarico. Nei vibrovagli la superficie di separazione è costituita da una griglia metallica montata su un telaio che è sottoposto a vibrazione. Le maglie della rete metallica hanno una spaziatura di circa 0,4 mm. Nei vagli statici invece i liquami percorrono una griglia metallica inclinata lungo la quale subiscono una progressiva sgrondatura. La spaziatura tra le barre della griglia è di circa 1-2 mm. L’energia assorbita dall’ultimo dispositivo descritto è solamente quella necessaria al sollevamento dei liquami; con questo tipo di vaglio si ottiene però una frazione solida non sempre palabile e le fessure delle griglie si possono facilmente intasare. Le numerose prove di separazione eseguite con tali dispositivi hanno evidenziato come la frazione solida presenta generalmente un tenore in sostanza secca del 12-15% e costituisce il 3-5% del volume iniziale. Le efficienze di rimozione e le caratteristiche della frazione solida separata sono invece riassunte nella tabella 5.

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    Questo tipo di dispositivi pur non garantendo elevate efficienze, risultano convenienti per i limitati costi di investimento e per i bassi consumi energetici dal momento che le potenze installate sono sempre inferiori ad 1 KW.

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    Un altro dispositivo utilizzato è il separatore cilindrico rotante costituito da un vaglio cilindrico e da due cilindri pressori per disidratare la frazione solida che non passa dal vaglio. Queste macchine consentono di ottenere una frazione solida che presenta un tenore in sostanza secca del 18-20% e che costituisce il 5-6% del volume iniziale ma hanno dei costi superiori ai vagli descritti sopra. Per quanto riguarda le efficienze sono riportate nelle tabella 6.

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    Un altro dispositivo per il momento ancora poco in uso è il separatore a
    compressione elicoidale. Il liquame inviato al separatore viene compresso da una
    coclea in una camera con pareti filtranti. Mentre il chiarificato passa attraverso le
    maglie della parete, la frazione solida viene pressata dalla coclea contro l’uscita ove un piatto di contrasto consente di regolare il grado di “spremitura” del solido e quindi le caratteristiche del liquame. Le efficienze di rimozione e le caratteristiche della frazione solida separata, per il trattamento di liquame suino, sono riassunte nella tabella 7 (dati derivati da prove condotte presso un unico allevamento).

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    2.1.2. Centrifughe
    Per la separazione dei solidi grossolani e fini una soluzione possibile è quella delle centrifughe ad asse orizzontale che garantiscono la separazione di un fango sufficientemente concentrato e richiedono spazi ridotti.

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    L’unità di separazione è costituita da un tamburo a sezione cilindro-conica entro il quale è inserito il rotore a coclea (1). Il liquame viene immesso all’interno del tamburo attraverso il condotto di alimentazione (2) e viene leggermente accelerato dal foro di alimentazione (3). Per effetto della forza centrifuga avviene la separazione tra la frazione solida e quella liquida (4). A causa del diverso regime di rotazione tra tamburo e coclea garantita dalla scatola del cambio (7), i solidi vengono trascinati verso la sezione conica (5) e infine espulsi attraverso le aperture di scarico (8). La fase liquida fuoriesce invece dalla parte opposta del tamburo (6) attraverso delle luci che a seconda della altezza consentono di variare il rapporto tra chiarezza della frazione liquida e consistenza della frazione solida (9). L’impiego delle centrifughe consente di ottenere una rimozione ottimale di sostanza secca, sostanza organica e nutrienti dal liquame suino. I risultati delle prove di separazione, sempre condotte dal CRPA su questo tipo di dispositivi, sono riassunti in tabella 8.


    La frazione solida ottenuta con tale dispositivo è palabile, presenta un tenore di sostanza secca del 20-28% e rappresenta il 10-15% del volume alimentato. Nella tabella 9 sono riportate le caratteristiche tecniche di alcune centrifughe ad asse orizzontale in uso presso alcuni allevamenti.


    Questo tipo di dispositivo presenta elevati costi gestionali e di investimento e perciò il suo uso è limitato ad allevamenti di dimensioni superiore alle 200 t di peso vivo; nei costi di gestione occorre considerare i consumi energetici (le potenze installate non sono mai inferiori ai 15 KW) e i costi degli additivi chimici necessari alla separazione nei casi in cui la dotazione idrica sia elevata .



    Questa apparecchiatura consente una efficace chiarificazione del liquame, decisamente migliore di quella garantita dai vari tipi di vagli, ed è quindi da preferire quando questo aspetto è determinante per il successo del processo di trattamento. Le centrifughe possono anche essere utilizzate per l’ispessimento dei fanghi provenienti dal processo di depurazione.

    2.2. TRATTAMENTO DI FLOTTAZIONE

    I flottatori sono dispositivi per la separazione della frazione fine (dimensioni < 0.1 mm) dei solidi sospesi. Questi dispositivi utilizzano differenti tecniche per far flocculare ed affiorare i solidi presenti nel flusso da trattare. La separazione della fase solida avviene in corrispondenza della superficie della vasca mediante un raschiatore. Per questo sono utilizzati degli additivi chimici per la rimozione della frazione colloidale; in particolare gli additivi utilizzati sono cloruro ferrico e solfato o policloruro dall’alluminio, come coagulanti, talvolta si impiegano pure dei polielettroliti sintetici, anionici o cationici, per favorire la flocculazione e sospingere in superficie i fanghi mediante l’aria inglobata nei fiocchi.


    Un efficace sistema per migliorare il rendimento di separazione è adottato nei flottatori ad aria disciolta. Questi dispositivi utilizzano un autoclave dove al fluido in pressione è aggiunta l’aria compressa; la solubilità dell’aria in acqua è funzione della pressione ed è quindi possibile produrre una miscela sovrasatura d’aria. Questa miscela è quindi immessa, dopo una valvola, nel bacino di flottazione a pressione atmosferica: nella massa dell’acqua si formano così finissime bolle che aggregandosi ai fiocchi in sospensione ne provocano l’alleggerimento e la conseguente flottazione. Un alternativa economica all’utilizzo dell’autoclave è costituita dall’adozione di un tubo di venturi. L’acqua viene convogliata da una pompa attraverso il restringimento del venturi: in queste condizioni la pressione del fluido in corrispondenza della strozzatura è minore della pressione atmosferica ed è possibile aspirare l’aria attraverso un ugello regolabile. Per ottimizzare il processo si dosano in linea prima i coagulanti e successivamente i flocculanti. Per garantire adeguati tempi di contatto e di miscelazione dei reattivi lungo la tubazione sono disposti due barilotti: uno per la reazione di coagulazione e un secondo, posto dopo il dosaggio del flocculante, per la flocculazione. Nelle applicazioni esaminate si è notato che i barilotti utilizzati sono delle stesse dimensioni e d’identica geometria: disposti verticalmente con immissione tangenziale in basso e scarico radiale dall’alto, il tempo di contatto è pari a 10-15 secondi. Per la coagulazione è opportuno operare una miscelazione rapida con tempo di contatto di pochi secondi, per la flocculazione è più opportuno operare un agitazione moderata per un tempo più lungo. Il sistema così configurato infatti pare ugualmente funzionare egregiamente producendo fiocchi di notevoli dimensioni che risalgono molto velocemente in superficie.

    La flottazione ad aria indotta è un sistema che ha ottenuto lusinghieri risultati per il trattamento di liquami suinicoli con produzione di fanghi con tenore di solidi superiore all’ 8%. Il policloruro di alluminio è stoccato liquido (soluzione commerciale al 18% di Al2O3) e dosato mediante pompe dosatrici a pistone. Il polielettrolita è invece stoccato in polvere e portato alla concentrazione di dosaggio (0,16%) mediante un preparatore automatico; anche in questo caso viene dosato mediante pompe dosatrici a pistone. Le efficienze di rimozione e le caratteristiche della frazione
    solida separata sono riassunte nella tabella 10.


    Tra i separatori per flottazione si può inserire un separatore denominato ECOpurin costituito da tre unità: una vasca dove avviene la flocculazione dei solidi sospesi con additivi chimici, un vaglio cilindrico rotativo dove avviene la separazione solido-liquido dei fanghi provenienti dalla prima vasca e infine un vibrosetaccio che provvede alla disidratazione della frazione solida in uscita dal vaglio.
    Questo tipo di separatore ha abbattimenti qualitativi (vedi tabella 11) paragonabili a quelli dei flottatori e delle centrifughe.


    I dati presenti nella tabella 11 si riferiscono alle prove effettuate presso un unico allevamento dal momento che questo dispositivo è ancora poco in uso.

    2.3. IL TRATTAMENTO BIOLOGICO
    2.3.1. Le cinetiche dei processi biologici

    I processi biologici di interesse per questa applicazione sono relativi alla rimozione del BOD carbonaceo e alla successiva ossidazione e riduzione dei composti azotati biodegradabili. Per modellizzare questi processi si usano le cinetiche di Michaelis Menten e Monod che legano la velocità di rimozione del substrato e la produzione di fanghi, alla biomassa batterica presente e alla concentrazione del substrato stesso. Le equazioni di riferimento sono:

    per la velocità di rimozione del substrato v che risulta funzione crescente della concentrazione del substrato stesso e

    dove X rappresenta la biomassa che è sintetizzata in proporzione al substrato rimosso secondo il coefficiente di crescita cellulare Y e Kd è il coefficiente che tiene conto della morte della biomassa. Tutti i processi biologici sono influenzati positivamente dalla temperatura e le velocità di rimozione possono dipendere da più substrati nonchè da parametri quali pH e presenza di composti di sintesi tossici per la popolazione batterica. La fase biologica principale del sistema che si intende analizzare è rappresentata dai processi di ossidazione dell’azoto ammoniacale e organico e dalla successiva denitrificazione dei nitrati prodotti ad azoto molecolare gassoso. Il processo di nitrificazione biologica è operato da batteri autotrofi aerobi caratterizzati da ridotti coefficienti di sintesi cellulare (YN=0,17) e comporta un notevole consumo di ossigeno (4,57 kgO2/kg TKN) e una riduzione dell’alcalinità. Le condizioni ottimali per questa reazione sono quindi: buona ossigenazione del liquame e pH debolmente alcalino (>7.2). Le velocità di rimozione di riferimento a 20°C sono di 2,6 kg TKN / kg SSVN d, marcato è l’effetto della temperatura come indicato nella:

    nitrificazione è opportuno mantenere OD maggiore di 2mg/l. La reazione di nitrificazione avviene contemporaneamente alla rimozione del BOD, ad opera dei batteri eterotrofi del fango attivo, nelle fasi di areazione. Rispetto al totale della biomassa presente gli organismi nitrificanti rappresentano però una frazione minoritaria a causa del maggiore coefficiente di crescita cellulare dei batteri eterotrofi (Y=0.7). La frazione di batteri autotrofi può essere stimata in fase di progetto con la:

    dove SO e TKNO rappresentano le
    concentrazioni di BOD5 e TKN presenti nella fase ossidativa. Il tempo di residenza cellulare SRT, pari al rapporto tra la biomassa presente e quella eliminata coi fanghi di supero, deve risultare sufficiente ad evitare il dilavamento della biomassa autotrofa. Deve quindi essere verificata con adeguato margine la

    In condizioni di anossia i batteri eterotrofi normalmente presenti nel fango attivo
    operano utilizzando come accettore di elettroni l’ossigeno degli ioni nitrato
    presenti in soluzione per l’ossidazione del substrato carbonaceo. La cinetica della denitrificazione non risulta significativamente dipendente dalle concentrazioni dei reagenti e il coefficiente θ è pari a 1,08. Occorre precisare che condizioni di anossia si possono verificare anche in una vasca aerata a causa dei fenomeni di diffusione dell’ossigeno nei fiocchi di fango attivo: è questo il meccanismo che consente la cosidetta denitrificazione in simultanea. Questo fenomeno può essere realizzato nel medesimo reattore alternando zone di intensa areazione a zone solo miscelate. Notevole è il consumo di substrato stimabile in 4 kg BOD5/kg NO3-N rimosso, la carenza di substrato organico è causa della presenza nello scarico di elevate concentrazioni di intermedi di reazione, quali NO2 -, ed è quindi da evitare. La velocità di rimozione del nitrato è funzione della fonte di carbonio utilizzata e per il BOD dei liquami è valutabile pari a: 0.072 kg N-NO3/kg SS d alla temperatura di 20°C. La produzione di biomassa è inferiore a quella riscontrabile per i processi aerobici (YD= 0.5). Le richieste di BOD del processo nitro-denitro risultano rilevanti e si può ben comprendere come le cinetiche relative al processo di ossidazione del BOD passino in secondo piano per il dimensionamento degli impianti che deve tenere conto, soprattutto, delle esigenze dei processi di rimozione dei nutrienti. In quest’ottica occorre tenere presente il valore del carico del fango cf espresso come il rapporto tra il BOD alimentato al sistema, e la biomassa presente espressa come SS. Questo parametro è bene che, per questo tipo di impianti, risulti inferiore a 0.08 kg BOD/kg SS. Ben più importante risulta il rapporto tra BOD e TKN a monte del trattamento biologico che deve essere superiore a 4 se si vuole evitare di fare ricorso a fonti di carbonio esterne per la denitrificazione. Per i liquami suinicoli è più frequente la determinazione del COD e un rapporto COD/TKN maggiore di 6.5 è generalmente sufficiente per il processo nitrodenitro. La produzione di fango di supero risulta molto influenzata dalle caratteristiche del liquame alimentato e dalla presenza di solidi inerti. La produzione di fanghi è modellizzata sulla base dell’equazione di crescita della biomassa X corretta per tenere conto della presenza di materiali refrattari. La quantità di biomassa presente nelle vasche di ossidazione è correlata anche al consumo di ossigeno. Il fabbisogno in termini di kgO2/kgSS presente in vasca è valutabile in 0.1 d-1 a 20° C, e varia con coefficiente di temperatura θ pari a 1.084.


    I consumi energetici relativi a questo trattamento sono rilevanti e riguardano le esigenze di miscelazione delle vasche anossiche e l’aerazione delle vasche di ossidazione. La miscelazione è volta ad evitare la sedimentazione della biomassa all’interno del reattore e per questo sono comunemente applicate densità di potenza di circa 10-15 W/m3. Per l’aerazione si possono invece adottare svariate tecniche. Le turbine superficiali sono abbandonate da tempo, l’insufflazione risulta il metodo più utilizzato e quello che garantisce i migliori risultati. I consumi energetici sono valutabili in 1.5 kWh/kg O2 disciolto anche se sono fortemente variabili in funzione della profondità di insufflazione e del tipo di diffusori utilizzati. Il trattamento depurativo a fanghi attivi può essere organizzato dal punto di vista tecnico secondo due schemi consolidati: impianti a flusso continuo e reattori sequenziali.

    2.3.2. Impianti a flusso continuo

    L’evoluzione della tecnica dei trattamenti di depurazione ha portato a privilegiare questa tipologia impiantistica che è impiegata nella gran parte delle installazioni depurative. L’impianto a flusso continuo è caratterizzato dall’utilizzo di vasche continuamente alimentate per lo svolgimento delle reazioni biologiche. Lo schema depurativo adottato in ambito zootecnico è la configurazione con predenitrificazione e controllo del fosforo in fase terziaria. L’elevato contenuto di materiale sospeso rende sempre necessaria una fase primaria di separazione solido-liquido che riduce anche i carichi da trattare. Il liquame chiarificato è quindi addotto alla vasca di denitrificazione, da questa passa alla fase ossidativa per la nitrificazione. Questo schema prevede quindi un consistente ricircolo di miscela aerata contenente nitrati alla vasca di denitrificazione, ciò comporta un rilevante consumo energetico. Per valutare la portata di ricircolo si può fare riferimento ai dati relativi alla velocità di degradazione dei nitrati e alla concentrazione in vasca di aerazione. Lo schema di trattamento può essere migliorato introducendo un ulteriore stadio di postdenitrificazione e riareazione ed è anche possibile implementare la rimozione biologica del fosforo. E’ necessario evitare di avviare al sedimentatore finale un mixed liquor scarsamente ossigenato: fenomeni di denitrificazione nella tramoggia del sedimentatore possono causare delle indesiderate risalite di fango. L’obiettivo di questa configurazione impiantistica è quindi quello di utilizzare il substrato presente nel liquame per far fronte alle esigenze della denitrificazione. Alla fase ossidativa giunge così un liquame impoverito di BOD favorendo le reazioni di nitrificazione ad opera dei batteri autotrofi. Il ricircolo di miscela aerata chiude il ciclo riportando i nitrati in vasca di denitrificazione. L’effluente della vasca di ossidazione è sottoposto a sedimentazione per recuperare la biomassa sospesa. I carichi idraulici applicati allo scopo sono di circa 0.35 m/h e i tempi di residenza dei sedimentatori sono superiori a 3 ore. I fanghi raccolti nella tramoggia sono rinviati alla vasca di denitrificazione. Un sistema di ripartizione consente di separare i fanghi di supero e regolare conseguentemente la concentrazione di biomassa presente nelle vasche. Per quest’ultimo parametro è comune assumere valori di progetto di 5 mg/l SS. In condizioni estive è consigliabile operare con una minore quantità di biomassa sfruttando l’accelerazione delle reazioni biologiche e riducendo il fabbisogno di ossigeno.

    Figura 10: vasche di ossidazione di un impianto a flusso continuo, le tubazioni in primo piano sono le calate dell’aria compressa. La terza calata da destra è collegata ad un diffusore guasto, probabilmente non più integro, che provoca un anomalo gorgoglio sulla superficie del bacino.

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    La fase terziaria è generalmente prevista per il controllo del fosforo onde rispettare i limiti tabellari per scarico in fognatura o in acque superficiali. Al dosaggio di policloruro di alluminio o cloruro ferrico in una vaschetta di contatto fa seguito un trattamento di sedimentazione dei fosfati. I tempi di ritenzione e il carico idraulico adottati sono dello stesso ordine di quelli previsti per i sedimentatori primari. I dosaggi di reagente sono di solito 1 mole di metallo per mole di P in soluzione.

    2.3.3. Caratteristiche dei reattori SBR (sequencing batch reactor)

    I reattori biologici sequenziali non costituiscono una novità nel campo del trattamento delle acque di scarico, ma sono innovative le possibilità offerte da questa tipologia di impianti in abbinamento ai moderni sistemi di controllo automatico adottati per gli impianti di depurazione. In questo tipo di reattori biologici il flusso di alimentazione e di scarico non è continuo, come nei sistemi a miscelazione completa, ma all’interno della stessa vasca si creano, in successione, le condizioni necessarie allo svolgimento delle reazioni biologiche. L’SBR è un trattamento biologico a biomassa sospesa che opera alternando fasi di carico del liquame a fasi di scarico del chiarificato. L’omogeneizzazione, il trattamento biologico e la chiarificazione secondaria possono essere ottenute usando una singola vasca. L’utilizzo di una sola vasca per la stabilizzazione del liquame e la separazione della biomassa esclude l’utilizzo di un sedimentatore finale. Il ciclo completo prevede quattro diverse fasi di lavoro: carico, trattamento, sedimentazione e scarico.


    Figura 11: schema semplificato del trattamento con SBR L’aerazione e l’equalizzazione sono discontinue, alternando fasi aerobiche ed anossiche per favorire sia l’attività dei batteri nitrificanti che di quelli denitrificanti.
    A trattamento completato, la biomassa viene fatta depositare in condizioni di quiete così da poter rimuovere il surnatante. L’eccesso di biomassa è eliminata a fine di ogni ciclo in modo da mantenere costante il valore dei fanghi attivi ciclo dopo ciclo. In molti casi, per attenuare i picchi di flusso del liquame, è necessario prevedere una vasca di compensazione che funzioni da “polmone”.
    Alcuni dei vantaggi e degli svantaggi degli SBR possono essere così riassunti:
    vantaggi:l’equalizzazione, il trattamento biologico e la sedimentazione secondaria possono essere realizzati in una sola vasca; flessibilità gestionale; investimento iniziale inferiore agli impianti convenzionali.
    svantaggi: un elevato impiego di timer, unità di controllo e valvole automatiche, la concentrazione dello scarico in un ridotto arco di tempo. Il trattamento SBR può risultare una tecnologia economica grazie ai ridotti volumi delle vasche, ed efficiente nel trattamento degli effluenti zootecnici offrendo la possibilità di adeguare il processo all’evolversi delle necessità. Nel reattore il liquame viene alimentato in maniera discontinua e scaricato in un’unica soluzione nell’ambito del ciclo di trattamento. Le fasi di trattamento sono attuate in sequenza e si concludono con una fase di quiete durante la quale il fango attivo presente può sedimentare e il liquame trattato si separa sulla superficie della vasca. Al termine di questa fase si provvede quindi all’estrazione del liquame chiarificato, dalla superficie, e dei fanghi di supero dal fondo della vasca. In un’unica vasca si susseguono quindi, nel tempo, le fasi della depurazione che sono altrimenti implementate nello spazio in un trattamento a fanghi attivi tradizionale. L’SBR consente quindi una semplificazione costruttiva dell’impianto con conseguente riduzione dei volumi impegnati a fronte della necessità di un’attenta scelta del ciclo di trattamento da eseguire. Questi impianti consentono di conseguire un’elevata flessibilità potendo adattare i cicli di trattamento alle caratteristiche del liquame e alle mutevoli necessità di depurazione.

    Scarico sedimentazione

    Se nel caso di applicazioni su scarichi civili i parametri di dimensionamento degli SBR sono equivalenti, almeno a livello di carichi del fango e carichi volumetrici, rispetto a quelli di impianti a flusso continuo con reattori completamente miscelati, per il trattamento dei liquami suinicoli questa tipologia impiantistica risulta più efficace. La cinetica di Monod, infatti, mostra che la velocità di rimozione del substrato è positivamente influenzata da un aumento della concentrazione dello stesso nella vasca ove avviene la reazione. Nei reattori a miscelazione completa la concentrazione di substrato risulta uguale in ogni punto e pari alla concentrazione in uscita dal trattamento. Con l’alimentazione discontinua degli SBR si sfrutta la maggior concentrazione che si ha successivamente al riempimento della vasca, si riducono conseguentemente i tempi di trattamento a parità di risultato. Questa accelerazione risulta evidente dai dati relativi a due casi di trasformazione degli impianti di trattamento dei liquami descritti nel seguito, ove si evidenzia che l’adozione di SBR ha consentito un upgrade della capacità depurativa a parità di volume delle vasche. Il trattamento sequenziale rappresenta la soluzione ideale per l’implementazione delle reazioni di nitrificazione e denitrificazione che, come è noto, devono avvenire in sequenza e comportano una notevole complicazione dei circuiti idraulici degli impianti a flusso continuo. Nel reattore sequenziale basta arrestare l’areazione, mantenendo la miscelazione, per passare dalla fase aerobica di nitrificazione alla fase anossica di denitrificazione senza dover ricorrere ad onerosi ricircoli. E’ poi possibile utilizzare il reattore anche per il trattamento terziario di rimozione del fosforo con lo schema detto di coprecipitazione. Un problema degli impianti biologici, riscontrato non solo in campo zootecnico, è la manutenzione degli aeratori sommersi. Questi dispositivi sono disposti sul fondo delle vasche e per la loro sostituzione occorre svuotare la vasca di areazione. L’utilizzo di SBR, che prevede di solito due linee di trattamento, consente una semplificazione delle operazioni di manutenzione in quanto lo svuotamento della vasca non comporta notevoli disagi. A fronte di questi evidenti vantaggi i reattori SBR comportano però la presenza di un temporizzatore che regoli il funzionamento con le relative valvole automatiche che possono provocare qualche problema di affidabilità e di messa a punto.
    Relativamente alla prospettata possibilità di utilizzare il reattore per la sedimentazione deve essere attentamente valutata la possibilità di affidarsi ad un decantatore esterno visti i notevoli carichi di solidi da separare e alle problematiche connesse con i cosiddetti “decantatori galleggianti” apparati studiati per queste applicazioni che per evitare di trascinare allo scarico il materiale galleggiante in superficie estraggono il chiarificato ad una profondità di circa 50 cm sotto il pelo libero.

    2.3.4. Sedimentabilità dei fanghi

    La sedimentabilità dei fanghi biologici è un importante parametro che consente anche di valutare il funzionamento di un impianto e operare adeguate politiche di gestione. E’ di solito valutata mediante l’indice di Mohlman che è espresso in ml/g. Questo indice è valutato lasciando sedimentare per 30’ un litro di mixed liquor e rapportando il volume di fanghi rilevato con la concentrazione di SS presenti nel campione. L’indice di Mohlman è funzione del carico del fango e delle condizioni di ossigenazione dei fiocchi. Alti carichi del fango e difficoltà di ossigenazione portano alla formazione di batteri filamentosi che causano un rigonfiamento del fango; anche in condizioni di carichi molto bassi e ossigenazione ottimale si riscontra un incremento di volume dei fanghi (Fanghi a testa di spillo). Valori comunemente riscontrati in campo zootecnico sono di circa 200 ml/g per impianti che operano con bassi carichi del fango.
    2.4. SEDIMENTATORI
    Il processo di sedimentazione permette la separazione del materiale sospeso presente nel flusso da trattare. Il motore del processo è la gravità terrestre che rende possibile separare le particelle che hanno un peso specifico superiore a quello dell’acqua. Questa affermazione è, a rigore, vera solo per la separazione di materiale granuloso: nel trattamento degli effluenti zootecnici questa condizione si verifica solo per i trattamenti terziari di defosfatazione; nelle altre fasi la presenza in sospensione di fiocchi comporta differenti modalità di sedimentazione. In presenza di materiale fioccoso le singole particelle tendono tutte a sedimentare alla stessa velocità a causa di fenomeni di inglobamento. Se poi la concentrazione di solidi è maggiore di 1 g/l si ha il fenomeno detto sedimentazione di massa. I sedimentatori secondari operano di solito in queste condizioni. Osservando in un cilindro il fenomeno si nota che la superficie di separazione tra il chiarificato e i sedimenti si sposta a velocità costante, questa velocità v è funzione della concentrazione di solidi sospesi. Il prodotto xv fra la concentrazione di SS e la corrispondente velocità di sedimentazione è definito flusso solido con dimensioni [kg/m2 h] e costituisce un importante parametro di dimensionamento. In particolare, in funzione delle caratteristiche del fango che si desidera estrarre dalla tramoggia di raccolta, si può ricavare il valore di flusso solido limite da applicare alla vasca e risalire quindi alla superficie da adottare. Per impianti biologici a basso carico i valori di flusso solido limite adottati sono inferiori a 5 kg SS/m2 h; per la verifica occorre tenere conto della portata complessivamente addotta al sedimentatore, comprensiva del ricircolo dei fanghi. I sedimentatori sono stati sviluppati secondo diverse configurazioni impiantistiche: a flusso radiale, longitudinale e verticale. Per il trattamento degli effluenti zootecnici sono prevalentemente utilizzati i sedimentatori a flusso verticale, questi presentano il vantaggio di non utilizzare organi meccanici in movimento e lo svantaggio di richiedere elevate profondità della vasca. I sedimentatori in questione possono essere realizzati in forma circolare o quadrata ed sono caratterizzati dalla notevole pendenza delle pareti di fondo (>60°); questa pendenza garantisce la raccolta dei fanghi sedimentati verso il fondo della vasca ove è installato il dispositivo per l’estrazione. Come indicato in figura 12 il liquame da trattare è addotto mediante una tubazione sommersa in un cilindro in carpenteria posto al centro della vasca. Il cilindro è affondato per il 70% circa della profondità utile, il flusso d’acqua è quindi costretto a risalire il corpo della vasca secondo un flusso verticale. Lo scarico del chiarificato si ha in superficie lungo il perimetro della vasca. Il flusso verticale contrasta quindi il moto di precipitazione delle particelle sospese e dovrebbero sedimentare solo le particelle che presentano velocità di caduta superiore alla velocità di risalita dell’acqua. La formazione di una “nube” di particelle sospese provoca però il trattenimento anche dei fiocchi di minori dimensioni incrementando consistentemente l’efficacia del trattamento.

    Per i sedimentatori di questo tipo, il principale parametro di dimensionamento è il carico idraulico che corrisponde alla velocità di risalita dell’acqua. Per i sedimentatori primari si utilizza in campo zootecnico un c.i. di 0.85 m/h e HRT di 3 ore. La frazione solida che si ottiene con questi sedimentatori rappresenta circa il 17-20% del volume di liquami avviato alla sedimentazione e presenta un tenore in sostanza secca pari all’8-12%, tale da renderla pompabile, ma non palabile. Le efficienze di separazione e le caratteristiche della frazione solida che si possono raggiungere con dei bacini di decantazione sono invece riassunte nella tabella 12:

    Per una accurata gestione di questo metodo di separazione occorre effettuare una estrazione frequente (quasi in continuo) dei fanghi addensati e un completo svuotamento del bacino almeno 1-2 volte l’anno. Maggiori efficienze, tanto nella rimozione dei solidi sospesi quanto nel contenuto di sostanza secca, possono essere raggiunte mediante l’uso di additivi chimici come cloruro ferrico e polielettroliti organici. Nel dimensionamento dei sedimentatori biologici di impianti a basso carico è meglio invece limitare il c.i. a 0.35 m/h con HRT di 8 ore. Il flusso solido limite per i sedimentatori secondari sarà inferiore a 3 kg SS/m2 se si considera la superficie in pianta del sedimentatore verticale. Utilizzando sedimentatori meccanizzati (radiali o rettangolari) è comunque opportuno mantenere flussi solidi inferiori a 5 kg SS/m2 h perché i fanghi biologici dei processi a basso carico presentano una sedimentabilità non ottimale. Un’ulteriore verifica deve poi essere fatta rispetto al carico sugli sfioratori che per i sedimentatori biologici deve essere inferiore a 350 m3/d m per unità di lunghezza dello sfioro. Per il sedimentatore finale è opportuno attenersi ai parametri adottati per la sedimentazione primaria.

    2.5. DIGESTIONE ANAEROBICA DEI FANGHI

    La digestione anaerobica è un processo depurativo che richiede relativamente poca energia a fronte di un’elevata richiesta di spazio ed è quindi da preferire per quei flussi ad elevato tenore di materiale biodegradabile quali i fanghi dei processi di depurazione. Nell’impossibilità di operare una degradazione aerobica i microrganismi presenti nei fanghi devono utilizzare come accettore di elettroni il carbonio presente producendo così elevate quantità di metano: circa metà del gas di digestione prodotto è costituito da questo combustibile. Durante la degradazione anaerobica dopo una prima fase di idrolisi della materia presente, per opera di enzimi batterici, si verifica una fase di fermentazione acida; si assiste quindi allo sviluppo di acidi volatili con conseguente abbassamento del pH del fango in digestione. Questi acidi costituiscono il substrato per il metabolismo dei batteri metanigeni che trasformano gli acidi in metano e anidride carbonica. I batteri metanigeni prediligono condizioni di pH debolmente alcaline e infatti, alla fase acida, fa seguito la regressione acida con produzione, tra l’altro, di ammoniaca e altri gas di digestione. La fase metanigena costituisce complessivamente la fase limitante del processo e questo va tenuto in considerazione per la progettazione del digestore. Lo schema di digestione più efficace, che massimizza la produzione di biogas, è quello che prevede l’uso di due digestori in serie dei quali il primo completamente miscelato e il secondo non miscelato. In effetti, con questo schema è possibile ottenere anche un discreto ispessimento dei fanghi dai quali è possibile separare i surnatanti nel secondo digestore, mentre il primo, completamente miscelato, garantisce un ottimo contatto del fango fresco con le popolazioni batteriche acclimatate. Il processo di digestione è poi largamente influenzato dalla temperatura: si individuano tre campi di temperature in corrispondenza dei quali il processo risulta efficace:

    15-20°C Condizioni psicrofile
    35°C Condizioni mesofile
    55°C Condizioni termofile

    All’aumentare della temperatura si registra una notevole accelerazione del processo con conseguente possibilità di utilizzare volumi ridotti per il digestore. Considerazioni economiche hanno portato a privilegiare per impianti di grosse dimensioni il campo mesofilo utilizzando parte del biogas prodotto per il riscaldamento del digestore, per piccoli impianti si deve valutare l’opportunità di operare, in particolare durante la stagione fredda, in campo psicrofilo utilizzando digestori generosamente dimensionati in quanto il processo di digestione rallenta notevolmente. Una adeguata digestione di fanghi primari in condizioni mesofile richiede circa 25 giorni.

    La produzione di biogas relativa ai fanghi di depurazione di liquami suinicoli è generalmente valutata nell’ordine di 1 m3 biogas / d t PV presente in allevamento. La modellizzazione del processo può essere raffinata a partire da considerazioni sull’entità dei carichi biologici avviati a digestione e considerando le rese ottenute in impianti operanti in condizioni mesofile con tempi di ritenzione idraulica pari a 20 giorni:

    0.35 m3 biogas/ kg COD
    0.4 m3 biogas/ kg SV

    La relazione tra COD avviato al digestione e biogas prodotto è fortemente influenzata dalle caratteristiche di putrescibilità dei fanghi. Per i fanghi di supero è sicuramente più indicato fare riferimento alla relazione con i solidi volatili. In campo zootecnico la miscelazione del digestore è solitamente operata dalle bolle di biogas e per queste applicazioni è diffuso l’utilizzo di configurazioni plugflow. Per l’accumulo del biogas può essere utilizzato un sistema di teli impermeabili zavorrati come per il digestore brevettato ENEA AGRISILOS. Questo digestore plug-flow, è costituito da una vasca rettangolare in c.a. coibentata dotata di una copertura a doppio strato in tessuto sintetico trattato con PVC. Fra la superficie della vasca e il telone inferiore si accumula il biogas prodotto, mentre la camera d’aria tra le due coperture viene mantenuta a pressione costante da un ventilatore controllato da una centralina. Il digestore permette così di operare in sicurezza (biogas sempre in pressione), mentre la copertura superiore protegge dalle intemperie. Il volume della copertura funziona come accumulo. L’utilizzo di questa struttura consente anche una buona deumidificazione del biogas: l’umidità infatti condensa sulla cupola e solo per i mesi più caldi sarà necessario adottare un condensatore esterno. Il digestore può essere riscaldato da serpentine poste nella platea di fondo alimentate mediante l’acqua calda proveniente dai cogeneratori. Conviene però prevedere anche una caldaia per l’utilizzo del biogas in caso di fermo dei cogeneratori o di produzione particolarmente elevata.

    2.6. IL COGENERATORE

    I cogeneratori sono gruppi elettrogeni opportunamente modificati per fornire al contempo energia termica ed energia elettrica. Per lo sfruttamento del biogas occorre modificare sostanzialmente la tipica disposizione delle componenti di un gruppo elettrogeno. Occorre utilizzare un motore a c.i. ciclo otto a quattro tempi opportunamente adattato per resistere alle sollecitazioni dovute alla presenza di impurità del biogas, quali H2S e umidità. Un alternatore provvede alla generazione della corrente alternata trifase. Per il recupero dell’energia termica si utilizzano scambiatori di calore operanti sia sul refrigerante del motore che sulle altre fonti di calore, che normalmente sono raffreddate ad aria: gas di scarico, alternatore, olio motore. L’utilizzo del biogas con motori a ciclo otto comporta problemi di rapida usura di alcune componenti quali le sedi valvole e le camere di combustione, nonché inquinamento del lubrificante. Un grave problema è costituito dalla condensazione di gocce di acido, che interviene al termine del ciclo di funzionamento. Per ovviare a questi inconvenienti i produttori hanno adottato materiali più resistenti all’attacco degli agenti chimici; inoltre è prevista una fase di funzionamento a metano puro (dalla rete) a fine ciclo per evitare i problemi di condensazione. I lubrificanti adottati sono altresì specifici e resistono meglio all’inquinamento. Con questi accorgimenti il funzionamento di questi apparati è abbastanza affidabile anche se bisogna mettere in conto una rilevante spesa per la manutenzione ordinaria. Questa spesa è controllabile in quanto i produttori dei dispositivi forniscono dei contratti di manutenzione con costi proporzionali all’effettivo tempo di funzionamento della macchina; i costi risultano essere 0.03-0.04 € per kWh prodotto per macchine di piccola dimensione. I rendimenti ottenibili da macchine di piccole dimensioni, quali quelle applicabili nell’allevamento suinicolo, sono notevoli [3]:

    • 25% in termini di energia elettrica
    • fino al 69% in termini di energia termica (acqua a bassa temperatura)

    I cogeneratori sono stati applicati in molte realtà nei primi anni novanta in seguito al varo degli incentivi per l’energia autoprodotta a partire da biomasse. Gli incentivi sono sospesi dal 1996 e la normativa in materia è in fase di revisione anche alla luce degli accordi internazionali per la riduzione delle emissioni di gas serra. A fronte del costo dell’energia elettrica di circa 0,10 €/kWh, l’applicazione di questi generatori risulta difficilmente economica senza incentivi.

    La durata dei motori alimentati a biogas è pari a circa 30-40'000 ore, (4 anni circa) di funzionamento ed è maggiore se si ha cura di evitare frequenti fermate e riavvii della macchina. Il costo di acquisto è di circa 1000 €/kW di potenza elettrica. Sulla base di questi dati è possibile valutare il tempo di ritorno dell’investimento per un gruppo da 15 kW elettrici funzionante per 5000 ore all’anno:


    Il tempo di ritorno dell’investimento può risultare ancora inferiore se si monetizza anche il valore del calore reso disponibile dal cogeneratore.

    3.VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DI IMPIANTI ESISTENTI OPERANTI SUGLI EFFLUENTI ZOOTECNICI

    Le caratteristiche dei liquami zootecnici rendono oggettivamente difficile l’esecuzione delle determinazioni analitiche sugli effluenti tal quali e sui liquami non chiarificati. Fenomeni di sedimentazione e la presenza di materiale grossolano in sospensione possono infatti spesso condurre a campionamenti non rappresentativi. I dati di seguito riportati si riferiscono, ove non diversamente indicato, a medie relative a lunghi periodi di osservazione e possono ritenersi ragionevolmente indicativi delle reali condizioni di funzionamento degli apparati. Ci siamo altresì avvalsi della preziosa collaborazione dei Gestori per la quantificazione dei carichi addotti e di alcuni parametri di funzionamento. I dati relativi alle dimensioni delle vasche sono stati rilevati dai disegni di progetto e tramite rilievi diretti. Per quanto attiene la rimozione dell’azoto occorre precisare alcune definizioni. L’azoto è presente nel liquame grezzo in forma ridotta come NH4 + disciolto o come costituente di proteine e materiale cellulare. Una parte dell’azoto è quindi presente in forma di solido sospeso ed è separabile con trattamento chimico fisico. Per i liquami suini freschi si rileva di solito una frazione disciolta pari al 60% del TKN. Le fermentazioni anaerobiche che intervengono nei liquami non freschi portano ad un aumento della frazione disciolta come ammoniaca e allo sviluppo di odori. E’ sempre opportuno trattare il liquame fresco anche per ridurre le emissioni maleodoranti dell’allevamento e semplificare la depurazione dell’effluente. I fanghi degli impianti di depurazione costituiscono un consistente flusso di materia uscente dal sistema di trattamento. L’azoto in essi contenuto è allontanato dall’allevamento ma è avviato al riutilizzo agronomico. Per questo, nel presente lavoro, con la definizione “percentuale di azoto rimosso” si fa riferimento alla percentuale del carico di TKN entrante al depuratore effettivamente denitrificata ad azoto molecolare. Nel seguito sono esaminati separatamente i depuratori che presentano la fase di trattamento biologico a flusso continuo, dotati di flottatore ad aria indotta, e i depuratori operanti con reattori biologici sequenziali, che utilizzano una centrifuga come pretrattamento. Le due tipologie impiantistiche sono confrontate, sulla base dei dati disponibili, sotto l’aspetto della rimozione dei nutrienti e del consumo energetico.

    3.1. DEPURATORI OPERANTI CON FASE BIOLOGICA A FLUSSO CONTINUO
    3.1.1. Allevamento Casaletto di Sopra (CR)

    Si è esaminato un impianto di trattamento sito a Casaletto di Sopra (CR), che opera al servizio di un allevamento suinicolo a ciclo chiuso con un peso vivo presente di circa 1500 t. L’Azienda è dotata di un depuratore che è stato recentemente ristrutturato e adeguato per trattare le deiezioni prodotte. I liquami prodotti dalla pulizia delle fosse sono convogliati in una vasca di raccolta dotata di un miscelatore e di tre pompe sommerse che consentono di avviare il liquame tal quale alla successiva fase di separazione meccanica. Mediante l’uso di tre rotovagli (due in funzione contemporaneamente più uno di soccorso) vengono infatti rimossi cruschello e setole che sono raccolti e stoccati in una apposita area. L’avviamento e l’arresto delle pompe e dei rotostacci avviene in maniera automatica essendo gestito mediante elettrolivelli. La frazione liquida ottenuta con la separazione meccanica finisce invece per gravità nella vasca di equalizzazione all’interno della quale un agitatore a pale evita la sedimentazione dei solidi in sospensione e garantisce l’omogeneizzazione del liquame. Da questa vasca il liquame è inviato con una pompa centrifuga alla successiva fase di flottazione, trattamento che permette una rimozione spinta dei solidi sospesi presenti negli effluenti. Per innescare la flocculazione sulla condotta di mandata è inserito un aspiratore Venturi mediante il quale si sovrasatura d’aria il flusso. Lungo la stessa tubazione viene iniettato del policloruro di alluminio, che funziona da coagulante, e in successione del polielettrolita che agisce da flocculante. Quando il liquame raggiunge la vasca di flottazione avviene la separazione della fase fangosa dalla fase liquida. Mentre il materiale flottato è inviato ad una vasca di raccolta, dove viene stoccato, la frazione chiarificata è diretta al trattamento a fanghi attivi. I fanghi prodotti sono condizionati, quando necessario, con calce, per limitare i fenomeni putrefattivi nel lagone di accumulo. La prima fase del trattamento biologico è quella di denitrificazione che avviene in una serie di vasche collegate mediante luci sottobattente e dotate di miscelatori sommersi. Mentre nella prima vasca vengono convogliati i fanghi di ricircolo e il ricircolo della miscela aerata dal reattore di ossidazione-nitrificazione, nell’ultima vasca il Mixed Liquor passa per gravità alla fase di ossidazione. Anche questa fase avviene in una serie di vasche, ciascuna delle quali è dotata di un sistema di aerazione con candele porose a bolle fini. Dall’ultimo comparto del reattore di ossidazione-nitrificazione la miscela liquido-fango viene trasferita ad un sedimentatore nel quale il fango si separa dall’acqua accumulandosi sul fondo. I fanghi separati sono estratti dalle pompe centrifughe sommerse e inviati ad un ripartitore, attraverso il quale una parte dei fanghi raggiunge il primo scomparto di denitrificazione e una parte finisce in un pozzetto, dove vengono miscelati con un reattivo coagulante per poi essere inviati alla fase di sedimentazione finale. Anche in questo caso, in condizioni di quiete i fanghi di supero e chimici si accumulano sul fondo e sono inviati mediante una pompa alla vasca di equalizzazione. Il chiarificato del sedimentatore finale è quindi scaricato in un corso d’acqua.
    In figura 15 è illustrato lo schema a blocchi dell’impianto di depurazione dell’allevamento Casaletto di sopra (CR).




    Con la preziosa collaborazione della Gestione abbiamo raccolto dei dati relativi al funzionamento dell’impianto. I dati analitici si riferiscono a valori tipici riscontrati esaminando documenti in possesso della gestione e relazioni di progetto. La seguente tabella è quindi solo indicativa delle condizioni di alimentazione e funzionamento del depuratore. Si apprezza l’elevato rendimento del trattamento di flottazione che abbatte una rilevante porzione del carico inquinante. L’impianto biologico è del tipo a basso carico e rimuove il 44% dell’Azoto in ingresso. Una notevole porzione del carico di azoto è infatti allontanata con i fanghi primari. L’impianto è quindi configurato per raggiungere l’obiettivo di qualità per lo scarico in acque superficiali e i risultati del controllo dell’azoto a valle della fase biologica sono sufficienti per rientrare nei limiti tabellari.


    Sull’impianto di depurazione abbiamo poi rilevato le utenze elettriche installate. Per le potenze installate si è fatto riferimento alla potenza di targa, per le potenze assorbite ci si è basati su dati di progetto; le ore di funzionamento sono invece quelle riferite dalla Gestione. La tabella seguente illustra le utenze rilevate divise fra quelle funzionali al processo e quelle relative alla movimentazione dell’effluente. Questo impianto è infatti il risultato di un aggiornamento di un impianto esistente e la disposizione delle vasche non è ottimale con conseguente necessità di rilanci. Per valutare l’efficacia del processo non terremo conto di queste utenze nel seguito.


    I consumi energetici relativi al processo di depurazione utilizzato sono quindi pari a 5.8 kWh/m3 di liquame trattato e 1,9 kWh/t PV presente. Il consumo energetico per kg di Azoto rimosso è pari a 13 kWh/kg N. Questo dato è depurato dai consumi per la movimentazione dell’effluente ed è quindi indicativo dell’efficacia del processo.

    3.1.2. Allevamento Meldola (FO)

    Con il CRPA di Reggio Emilia si è valutato il funzionamento di un depuratore a flusso continuo in servizio presso un allevamento sito nel comune di Meldola (FO). In questo allevamento a ciclo chiuso (560 t PV) è stato realizzato un impianto con flottatore ad aria indotta e trattamento biologico a flusso continuo; i fanghi flottati sono avviati a digestione in un sistema ENEA AGRISILOS; l’impianto utilizza un rotovaglio per la separazione dei solidi grossolani. Il trattamento biologico è effettuato secondo lo schema predenitrificazione – ossidazione – nitrificazione – post denitrificazione - riareazione. Un flottatore ad aria indotta con dosaggio di coagulante e polielettrolita costituisce la fase di separazione primaria. I carichi volumetrici di COD applicati sono 0.2 kgCOD/m3 d.

    Edited by francesco1966 - 16/5/2008, 17:16
     
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  2. francesco1966
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    Inserisco un file sui sitemi di abbattimento dell'azoto nelle acque reflue:



    Nuovi processi biologici per la rimozione dell’ azoto da flussi di ricircolo ed acque di scarico concentrate

    1) INTRODUZIONE

    2) RICHIAMI SUI PROCESSI CONVENZIONALI

    2.1 Tasso di crescita ed eta’ del fango
    2.2 pH
    2.3 Concentrazione di substrato o di prodotto
    2.4 Temperatura
    2.5 Ossigeno

    3) PROCESSI NON CONVENZIONALI DI RIMOZIONE DELL’AZOT0

    3.1 Denitrificazione mediante nitrificanti autotrofi
    3.2 Nitrificazione eterotrofa
    3.3 Denitrificazione aerobica
    3.4 Denitrificazione autotrofa

    4) APPLICAZIONI

    4.1 Processo Abeling – Seyfried
    4.2 Processo SHARON
    4.3 Processo HEMINIFF
    4.4 Processo ANAMMOX
    4.5 Processo SHARON – ANAMMOX
    4.6 Processo HEMINIFF – ANAMMOX
    4.7 Processo OLAND
    4.8 Processo a filtri percolatori ( Universita’ di Stoccarda )

    5) CONCLUSIONI
    ##########################################################
    1) INTRODUZIONE

    Nel ciclo dell’azoto la nitrificazione e’ un processo importantissimo perche’ permette l’ossidazione dell’ammonio derivante dalla decomposizione di organismi e detriti biologici in nitrato, composto che viene poi riutilizzato dagli organismi vegetali nella fotosintesi. Il processo di nitrificazione e’ stato riconosciuto come un metodo fondamentale in agricoltura e nell’ambito della protezione dell’ambiente ( rimozione dello ione ammonio dalle acque). I processi di conversione dell’azoto sono essenziali per la maggior parte degli impianti di trattamento di acque reflue e negli ultimi anni sono state studiate nuove configurazioni per la rimozione “non convenzionale” dell’azoto, quali: denitrificazione con batteri nitrificanti autotrofi, nitrificazione eterotrofa – denitrificazione aerobica, nitrificazione parziale a nitrito, denitrificazione autotrofa.

    2) RICHIAMI SUI PROCESSI “CONVENZIONALI”

    La nitrificazione biologica avviene generalmente per azione di microrganismi autotrofi o misti che ossidano l’ammonio a nitrato ( via nitrito ). Sono stati identificati diversi tipi di batteri nitrificanti; essi ossidano l’ammonio a nitrito oppure il nitrito a nitrato. La riduzione dei nitrati ( via nitrito ) ad azoto gassoso viene effettuata da batteri denitrificanti eterotrofi nel processo di denitrificazione, comunemente attuato negli impianti di rimozione biologica dell’azoto.
    I principali parametri che influenzano il processo di nitrificazione sono:

    2.1 Tasso di crescita ed età del fango
    I microrganismi che ossidano l’ammoniaca e quelli che ossidano il nitrito possono avere tassi di
    crescita diversi in funzione delle condizioni ambientali. E’opportuno pero’ tenere conto che a volte i batteri hanno capacita’ di adattamento lente ma efficaci e quindi bisogna attendere che siano passati tempi piuttosto lunghi ( circa due mesi) per verificare che non avvenga acclimatazione. Nei sistemi a biomassa sospesa e’ possibile ottenere una selezione piu’ radicale se si opera ad un tempo di residenza dei fanghi θ inferiore al tempo di residenza minimo θmin del gruppo che si vuole sfavorire.

    2.2 pH
    Diversi ricercatori hanno studiato la possibilita’ di inibire i batteri che ossidano i nitriti per mezzo di un cambiamento di ph. In genere tale cambiamento porta inizialmente ad avere una nitrificazione limitata allo stadio di nitrito; comunque dopo alcune settimane i batteri si adattano alle mutate condizioni e si instaura nuovamente la nitrificazione completa.

    2.3 Concentrazione di substrato o di prodotto
    Una elevata concentrazione del substrato o del prodotto puo’ influenzare l’attivita’ biologica di una popolazione batterica. E’ quindi possibile inibire parzialmente l’ ossidazione del nitrito in presenza di una concentrazione relativamente elevata di ammonio.

    2.4 Temperatura
    a temperature relativamente elevate ( > 15° ) i batteri che ossidano l’ammonio hanno tassi di crescita piu’ elevati rispetto a quelli che ossidano il nitrito.

    2.5 Ossigeno
    Si puo’ inibire la crescita dei batteri nitrito – ossidanti anche sfruttando la loro minore affinita’ per l’ossigeno rispetto a quella degli ammonio – ossidanti. Mantenendo condizioni anossiche all’interno dei fiocchi, si puo’ raggiungere una situazione di stabilita’ in cui la concentrazione dei nitrito ossidanti diventa trascurabile rispetto a quella degli ammonio – ossidanti.

    3) PROCESSI “NON CONVENZIONALI” DI RIMOZIONE DELL’AZOTO

    3.1 Denitrificazione mediante nitrificanti autotrofi
    I batteri nitrificanti autotrofi possono produrre significative quantita’ di N2O, NO e N2.
    Nelle cellule di questi batteri, la riduzione del nitrito a N2O puo’ essere associata all’ossidazione dell’idrossilammina a nitrito in condizioni microaerobie. Bock et al. hanno studiato la denitrificazione del nitrito da parte dei batteri Nitrosomonas europea con ammonio o idrogeno come donatori di elettroni. Questi ed altri studi hanno mostrato che i nitrificanti autotrofi possono essere responsabili di una serie di trasformazioni dell’azoto, normalmente non considerate nei processi di trattamento delle acque reflue.

    3.2 Nitrificazione eterotrofa
    L’ossidazione dello ione ammonio da parte degli organismi eterotrofi e’ termodinamicamente sfavorita ( ∆G > 0 ) al contrario della nitrificazione autotrofa.
    La nitrificazione agisce come fonte di elettroni in questi organismi, il cui vantaggio e’costituito dall’aumento del tasso di crescita dovuto all’uso simultaneo di ossigeno e nitrati come accettori di elettroni.

    3.3 Denitrificazione aerobica
    Il termine denitrificazione aerobica viene usato in due diversi contesti: in alcuni casi si fa riferimento ai microrganismi che denitrificano mentre utilizzano ossigeno, in altri casi si fa riferimento alla denitrificazione in un reattore aerato. Nel secondo caso spesso si ha denitrificazione convenzionale, resa possibile dalle resistenze diffusive all’interno dei fiocchi o del biofilm e dalla non uniforme miscelazione all’interno del reattore.
    Fiocchi di dimensioni di 0,15 mm possono essere gia’ sufficientemente spessi da permettere la denitrificazione in processi tradizionali a fanghi atttivi; lo stesso vale per spessori del biofilm maggiori di 0,1 mm. Un possibile ruolo per la denitrificazione aerobica rimane nei processi a fanghi attivi: in condizioni di limitazione di ossigeno le cellule possono avere un maggior tasso di crescita se utilizzano contemporaneamente ossigeno e nitrati.

    3.4 Denitrificazione autotrofa
    Processo in condizioni anaerobiche nel quale l’azoto ammoniacale viene trasformato in azoto gassoso N2 utilizzando i nitrati come accettori di elettroni. Il processo, noto come ANAMMOX ( ANaerobic AMMonium OXidation ), e’ autotrofo e quindi non necessita di aggiunta di carbonio organico per la denitrificazione.

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    4) APPLICAZIONI

    4.1 Processo Abeling – Seyfried
    Abeling & Seyfried sono stati tra I primi a studiare un processo anaerobico – aerobico per il trattamento di acque reflue provenienti dalla produzione di amido di patate, caratterizzate da elevate concentrazioni di COD, azoto e fosforo. Durante la sperimentazione essi hanno monitorato la concentrazione di azoto ammoniacale e il ph, con l’obiettivo di mantenere l’ammoniaca libera (indissociata) nell’intervallo 1-5 mg N-NH3 / l. A queste concentrazioni, i batteri ammonio ossidanti risultano ancora attivi ma sono inibiti i nitrito-ossidanti e il processo di nitrificazione si arresta allo stadio di nitrito. La successiva denitrificazione del nitrito formato richiede solo il 60 % del carbonio organico che invece sarebbe necessario con la denitrificazione convenzionale via nitrato. Questo aspetto, vantaggioso per il tipo di refluo in esame, e’stato successivamente approfondito e studiato da altri. Praticamente tutte le ricerche condotte ad oggi su questo processo, si riferiscono al trattamento di reflui contenenti elevate concentrazioni di ammonio.

    4.2 Processo Sharon
    Il processo Sharon e’ stato ideato da Mulder & van Kempen per la rimozione di azoto in acque reflue molto concentrate e con elevati rapporti N/C. Nel processo Sharon si sfrutta il fatto che a temperature relativamente elevate i nitrito ossidanti hanno tassi di crescita ridotti rispetto agli ammonio-ossidanti(figura 4).

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    Usando un reattore completamente miscelato con un breve tempo di residenza e senza ricircolo dei fanghi, si può ottenere il dilavamento dei nitrito-ossidanti. Imponendo poi una aerazione intermittente, si possono avere contemporaneamente denitrificazione e controllo del pH (figura n.5).
    Il processo Sharon avviene in un reattore completamente miscelato senza sedimentazione e riciclo dei fanghi. Questo significa che l’età del fango (θ) uguaglia il tempo di ritenzione idraulica (tr).
    La concentrazione della biomassa nel reattore va scelta in modo tale che il tasso di crescita dei batteri ammonio-ossidanti sia tale da mantenere nel reattore una concentrazione degli stessi sufficientemente elevata. In un impianto di depurazione, il processo Sharon può essere quindi utilizzato sia come pretrattamento di un influente ad elevata concentrazione di azoto o per il trattamento dei flussi di riciclo nell’impianto, per esempio per le acque provenienti dalla digestione dei fanghi.

    4.3 Processo Heminiff
    In questo caso l’ossidazione parziale a nitrito viene effettuata in reattori a letto fisso sommerso o a letto mobile. Rispetto al processo Sharon, l’utilizzo di un mezzo di riempimento permette di ottenere una piu’ elevata concentrazione di biomassa e quindi di operare a carichi organici piu’ elevati rispetto a quelli raggiungibili con un reattore senza riciclo dei fanghi. Questa fase di trattamento ovviamente deve essere accoppiata ad un successivo processo di denitrificazione. In figura 7 è riportato l’andamento delle concentrazioni di nitrito e di ammonio in un reattore a biomassa adesa in scala laboratorio, alimentato con un refluo avente circa850 mgN-NH4/l.

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    4.4 Processo Anammox
    Il potenziale applicativo del processo di denitrificazione autotrofa Anammox e’ sicuramente molto elevato ma bisogna sottoporre i reflui contenenti ammonio ad un processo di nitrificazione parziale.
    Strous ha studiato il processo utilizzando un reattore a letto fisso e uno a letto fluidizzato. Dopo 150 giorni di funzionamento, nel reattore a letto fluidizzato inoculato con fango Anammox e alimentato con surnatante di digestione fanghi, si e’ ottenuta un’efficienza di rimozione dell’ammonio pari all’82% e del nitrito pari al 99%. Con il processo Anammox si possono utilizzare reattori compatti, si puo’ risparmiare sulla fornitura di ossigeno e di sostanza organica e si ha anche una minore produzione di fanghi.


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    4.5 Processo Sharon-Anammox
    I processi Sharon e Anammox possono essere combinati. Nel reattore Sharon avviene una parziale nitritazione: non tutto l’azoto ammoniacale e’ trasformato in azoto nitroso, ma solo il 50% di esso, in modo tale da preparare un influente “ad hoc” per il processo Anammox. Nel reattore Anammox l’intero processo di rimozione dell’azoto richiede meno ossigeno, non richiede BOD e porta ad avere una minore produzione di fango.

    4.6 Processo Heminiff-Anammox
    Rozzi sperimento’la combinazione di nitrosazione parziale in un reattore a biomassa adesa (Heminiff) abbinata alla denitrificazione autotrofa Anammox anch’essa in reattore a letto fisso.
    Sono stati utilizzati mezzi di riempimento FLOCOR di piccola pezzatura (diametro: 20 mm; lunghezza:15 mm) in polipropilene ed in PVC.
    In figura 11 e’ riportato lo schema del processo.


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    4.7 Processo Oland
    L’aspetto fondamentale del processo Oland (Oxygen Limited Autotrophic Nitrification Denitrification) consiste nel fornire solo ossigeno necessario affinche’ la nitrificazione proceda fino alla produzione di nitriti; a causa della mancanza di accettori di elettroni, i nitriti stessi vengono poi consumati per ossidare lo ione ammonio.

    4.8 Processo a filtri percolatori
    Twachtmann & Metzger hanno sperimentato il processo di semi-nitrazione e il processo Anammox utilizzando due letti percolatori in serie. Il primo reattore, per la nitrosazione parziale, viene fatto funzionare in condizioni di ossigenazione molto limitata.

    5 Conclusioni
    Vari processi “non convenzionali” per la rimozione dell’azoto sono oggi in corso di studio e sperimentazione in diverse Università e Istituti di Ricerca. In generale si tratta di processi in grado di rimuovere l’azoto ammoniacale utilizzando meno ossigeno e/o meno sostanza riducente (carbonio organico) rispetto ai processi tradizionali. Tra i vari processi il più interessante è la denitrificazione autotrofa Anammox. I principali vantaggi sono:

    • la riduzione del consumo di ossigeno nella fase di nitrificazione e di BOD in quella di denitrificazione
    • la bassa produzione di fanghi
    • le velocità di conversione dell’azoto piuttosto elevate

    Tra gli svantaggi bisogna ricordare che:

    • i batteri Anammox in grado di attuare il processo hanno tassi di crescita molto bassi
    • i microrganismi e le relative condizioni ambientali ottimali sono ancora relativamente poco conosciuti
    • nell’effluente del primo stadio si trova una concentrazione elevata di azoto nitroso e, in caso di inefficiente funzionamento del secondo reattore, si possono avere facilmente concentrazioni di nitrito al di sopra dei valori tollerati dalla normativa.




    Edited by francesco1966 - 19/4/2008, 11:38
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  3. francesco1966
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    Altro link sui processi di abbattimento dell'azoto, MOLTO INTERESSANTE, lo consiglio: http://www.arpa.emr.it/ingamb/download/cf_...attistoni_5.pdf


    Vi sono molti esempi pratici di calcolo degli abbattimenti dell'azoto.




    Questo è il manuale dell'APAT sulle tecnologie per l'abbattimento dell'azoto nel digestato:

    www.agricoltura.regione.lombardia.it/admin/rla_Documenti/1-3500/malpei.pps


    è un po' lento a caricarsi, ma è fondamentale per chi vuole conoscere bene questa tecnologia.

    Edited by francesco1966 - 26/6/2008, 16:45
     
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