Trattamento dei Rifiuti e Salute. Posizione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia

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  1. francesco1966
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    Tratto da : http://www.epidemiologia.it/?q=node/273

    Trattamento dei Rifiuti e Salute.
    Posizione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia


    Premessa e scopo del documento

    I rifiuti – effetto indesiderato della produzione e del consumo di beni – sono in aumento in Italia sia per volume (0,54 t/anno pro capite nel 2005) sia per numero di sostanze chimiche in essi contenute; resta perciò attuale il problema del loro impatto sulla salute e sull’ambiente. Le azioni fondamentali di prevenzione e il fulcro di ogni politica tesa a contenere i rischi connessi ai rifiuti risiedono nella loro riduzione, differenziazione, riutilizzazione e nella razionalizzazione delle modalità di smaltimento, secondo quanto indicato nel preambolo dell’ultima direttiva europea in materia (2006/12/UE).

    La normativa vigente (D.lgs. 152/06) classifica i rifiuti secondo l’origine in rifiuti urbani (per lo più domestici) e rifiuti speciali (per lo più residui di attività produttive) e secondo la pericolosità in rifiuti tossici e nocivi (presi in considerazione dalla direttiva 91/689/CE) contenenti metalli pesanti e altre sostanze tossiche) e rifiuti non pericolosi (tutti gli altri). Le leggi italiane prevedono trattamenti differenziati per categoria d’appartenenza.

    Per lo smaltimento dei rifiuti urbani, a valle del recupero differenziato dei materiali (ove esso avvenga), sono attualmente disponibili due diverse modalità normate da leggi e regolamenti: il conferimento in discarica controllata (48% del totale) e l’incenerimento con parziale recupero energetico (10% del totale). Non è infrequente, tuttavia, il caso di discariche autorizzate che non funzionano a norma (mancato recupero del percolato e dei biogas) e di discariche autorizzate per il solo conferimento di rifiuti urbani dove sono conferiti illegalmente anche rifiuti pericolosi. Vanno inoltre considerate le discariche illegali, i siti di abbandono illegale e la combustione incontrollata di rifiuti pericolosi e misti.

    L’obiettivo principale di questo documento è esprimere un parere documentato sulla nocività per la salute umana delle modalità legali di trattamento dei rifiuti, al fine di sostenere con le informazioni necessarie quanti sono preposti alle decisioni in merito alla sicurezza degli impianti legalmente operanti e alla dislocazione di nuovi impianti. Obiettivo accessorio è la considerazione degli effetti sulla salute di modalità improprie o illecite di trattamento dei rifiuti per raccomandare, se necessaria, l’adozione di azioni di protezione della popolazione esposta o, nel caso d’inconclusività delle informazioni disponibili, l’avvio di indagini ad hoc o di piani di sorveglianza per la documentazione dei possibili effetti.

    Le considerazioni espresse in questo documento traggono origine dalla valutazione delle conoscenze desumibili dalla letteratura scientifica condotta dalla segreteria dell’Associazione Italiana di Epidemiologia. Occorre, a riguardo, porre in evidenza che in molti degli studi epidemiologici internazionali considerati non è stata operata una distinzione tra rifiuti solidi urbani e rifiuti classificati in Italia come tossici o nocivi; i dati disponibili sono riferiti per lo più all’insieme delle due categorie non essendo possibile un’analisi differenziata per tipologia di rifiuti.

    Rischi per la salute derivanti dalle discariche di rifiuti

    Discariche autorizzate

    Lo studio dell’impatto sulla salute delle discariche che operano secondo le procedure normate da leggi ruota attorno a due quesiti:
    • le discariche determinano esposizioni responsabili di un incremento dei tassi di malattia nella popolazione generale?
    • limitatamente alle popolazioni che risiedono nelle immediate vicinanze delle discariche, si registrano tassi più elevati di malattia?
    Le osservazioni disponibili riguardano soprattutto la seconda questione, essendo la prima di più difficile trattazione, stante la limitatezza delle conoscenze attualmente in nostro possesso.
    Gli agenti tossici più comunemente chiamati in causa riguardo alle discariche sono:
    - solventi clorurati (tri- e tetra-cloro etilene, di- e tri-cloroetano);
    - metalli (zinco, mercurio, cadmio, cromo, arsenico, piombo);
    - idrocarburi aromatici policiclici (benzene, toluene, metilene);
    - policlorobifenili (PCB);
    - cloruri di vinile;
    Le vie di esposizione riconosciute sono quella inalatoria, quella alimentare (per ingestione di acqua e prodotti agricoli contaminati) e il contatto dermico.

    Gli studi epidemiologici disponibili sono stati condotti prevalentemente all’estero con un disegno multicentrico o multisito (1-7). I principali punti di forza di tali studi riguardano: le ampie dimensioni, il buon controllo del confondimento e l’utilizzabilità dei risultati per le decisioni strategiche. I punti di debolezza, invece, riguardano: la simultanea esposizione ad una molteplicità di agenti potenzialmente nocivi e la già ricordata assenza di distinzione tra discariche di rifiuti urbani e discariche di rifiuti tossici e nocivi, a causa della diversa normativa di riferimento, rispetto a quella italiana, all’epoca in cui gli studi sono stati condotti. Gli studi in questione sono di tipo descrittivo geografico, con un’inadeguata definizione dell’esposizione, basata solo sulla distanza tra la discarica e il domicilio della popolazione a rischio. Anche nei casi in cui, come nello studio caso-controllo multicentrico EUROHAZCON (7-8) le alterazioni dello stato di salute e la presenza di fattori confondenti sono stati rilevati con questionari individuali – e quindi con buona precisione – la misura dell’esposizione agli inquinanti originati dalla discarica è stata stimata dalla semplice distanza lineare dell’abitazione dalla discarica. Solo alcuni studi beneficiano di una definizione più accurata dell’esposizione (9-12), ma risentono della limitata potenza statistica, del ridotto controllo del confondimento e di possibili effetti sui risultati di distorsioni della memoria.
    Con questi limiti, gli studi epidemiologici cui è stato fatto riferimento hanno rilevato un eccesso di rischio per malformazioni congenite di circa il 10% (in relazione a discariche di rifiuti tossico-nocivi), in particolare per difetti del tubo neurale e dell’apparato cardiocircolatorio (7-8), gastroschisi, palatoschisi, (9-12) È stato evidenziato, inoltre, negli studi multisito un maggior rischio di basso peso alla nascita (RR tra 1.03 e 1.06) e di tumori (leucemie, colon-retto, polmone, vescica, fegato), con valori variabili di rischio tra 1.02 e 1.20. Altri studi, però, non hanno messo in evidenza alcun eccesso di rischio (10-15).
    Complessivamente le evidenze che emergono da questi studi sono deboli. Alcune indagini dotate di migliore impianto metodologico documentano rischi di piccola entità, ma molti altri studi, di pari qualità, non documentano alcuna associazione tra il domicilio in prossimità della discarica e danni alla salute. Nella maggior parte degli studi esaminati, non può essere escluso l’effetto sui risultati di un insufficiente controllo di possibili fattori di confondimento e di un’inadeguata definizione dell’esposizione. Occorre considerare, infine, che molti degli studi valutati hanno riguardato discariche a prevalente conferimento di rifiuti tossici e molto pochi discariche a prevalente conferimento di rifiuti urbani.
    In conclusione, con riferimento a discariche di rifiuti tossico-nocivi, esistono evidenze di un piccolo ma significativo aumento del rischio di malformazioni congenite che diventano più consistenti se riferite al rischio di basso peso alla nascita; non vi sono, invece, evidenze convincenti di eccesso di rischio per tumori, soprattutto per l’impossibilità di controllare i fenomeni migratori della popolazione esposta e la sequenza temporale fra esposizione e malattia. L’epidemiologia non si è interessata se non marginalmente agli effetti delle discariche di soli rifiuti urbani, essendo prevalente l’interesse per gli effetti sulla salute delle discariche di sostanze tossiche. Questa scelta è stata probabilmente dettata anche da valutazioni a priori di basso o nullo rischio delle discariche costruite e condotte in accordo con le norme di sicurezza in vigore e avvalendosi delle più aggiornate tecnologie.

    Discariche non autorizzate

    Definiamo discariche non autorizzate i siti di abbandono illegali e discariche autorizzate ma con tipologia di rifiuti diversi da quelli previsti, costruite cioè al di fuori delle norme di legge e in assenza dei presidi preposti al contenimento delle emissioni e al recupero del percolato. Tali discariche sono da considerare sorgenti d’inquinamento diffuso per più vie di propagazione.
    Sull’impatto ambientale e sanitario dei siti di abbandono illegali a partire dal 2000 sono stati condotti in Italia – e in particolare in Campania – numerosi studi che, anche se non conclusivi, hanno grande rilevanza per la valutazione dei danni potenziali alla salute riconducibili a questo tipo di discariche (16-23). Si tratta di regola di studi descrittivi geografici basati su periodi di osservazione non sempre adeguati e condotti con disegno ecologico convenzionale per l’analisi della mortalità, dei ricoveri ospedalieri, della prevalenza di malformazioni alla nascita e – solo per poche aree – dell’incidenza di tumori. Uno studio ecologico si è avvalso di un indicatore di esposizione risultante dalla combinazione della prossimità del domicilio al sito di smaltimento dei rifiuti con un indice di pressione ambientale da rifiuti sul comune di residenza che tiene anche conto della tossicità dei rifiuti del sito di smaltimento (24).
    Questi studi – che hanno considerato insieme sia discariche autorizzate sia siti di abbandono illegali – hanno messo in evidenza una correlazione dell’indicatore di esposizione con la mortalità per tutte le cause, per cause tumorali (tutte le sedi, fegato, polmone e stomaco nei maschi) e non tumorali (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, diabete e cirrosi) e con alcune malformazioni del sistema nervoso e dell’apparato genito-urinario.
    Va considerato che il disegno adottato da questi studi non consente di postulare la causalità dell’associazione posta in evidenza. Gli autori, tuttavia, hanno considerato i risultati indicativi di una situazione di rischio determinata dall’inquinamento ambientale diffuso dovuto alla presenza dei siti. L’interpretazione dei risultati è resa ancor più complessa da altre tre considerazioni:
    - gli studi hanno riguardato siti autorizzati, siti illegali di smaltimento e siti di abbandono incontrollato, con presenza anche di rifiuti tossici e pericolosi, senza poter distinguere gli effetti attribuibili a ciascuna tipologia di sito;
    - le analisi effettuate hanno tenuto conto del confondimento prodotto dalla deprivazione socio-economica, ma non è stato possibile escludere la permanenza di un effetto residuo di questo fattore. Per alcune cause di morte (ad es. tumori maligni del rene e della vescica) l’Indice di deprivazione è risultato essere il fattore di rischio principale;
    - la vicinanza ai siti di smaltimento dei rifiuti è stata indicata dagli autori come la causa principale degli eccessi di rischio rilevati, senza poter escludere, almeno per alcuni di tali eccessi, l’azione di altri fattori presenti nelle popolazioni in studio quali: a) l’alta prevalenza di epatite (in relazione alla mortalità per tumori epatici), b) specifiche esposizioni occupazionali (per gli eccessi di mortalità confinati ai soli uomini), c) l’inadeguatezza delle strutture di diagnosi e cura (per il diabete e le patologie cardio-vascolari e respiratorie).

    Pur con le limitazioni appena ricordate gli studi disponibili suggeriscono la possibilità di effetti negativi sulla salute della popolazione residente in prossimità dei siti illegali di smaltimento di rifiuti misti che determinano condizioni d’inquinamento ambientale diffuso ed esposizione a sostanze chimiche tossico-nocive per molteplici vie (aria, acqua, suolo e catena alimentare complessa). Benché non conclusivi i risultati degli studi disponibili sono avvalorati da considerazioni di plausibilità biologica e di coerenza degli effetti per genere e per fasce di età. Le evidenze superano le incertezze legate al disegno dello studio e all’insufficiente controllo del confondimento. Pertanto sono da considerare elevate le probabilità di una relazione causale.


    Rischi per la salute derivanti dall’incenerimento dei rifiuti

    L’incenerimento è diffusamente utilizzato per ridurre il volume e le proprietà infettive e tossiche dei rifiuti urbani, tossico-nocivi e ospedalieri. In Italia operano attualmente 50 impianti d’incenerimento, localizzati prevalentemente al centro nord (13 in Lombardia, 9 in Emilia e 8 in Toscana).

    Se l’incenerimento sia un mezzo appropriato e sicuro di trattamento dei rifiuti è stato ed è oggetto di un ampio dibattito nel nostro Paese. L’interesse maggiore è legato al rischio potenziale per la salute umana connesso alle emissioni degli inquinanti generati dal processo d’incenerimento. Alcuni di questi (diossine, metalli e polveri ultrafini) sono agenti cancerogeni e tossici riconosciuti. Benché gli effetti correlati siano stati osservati a concentrazioni molto più elevate di quelle prodotte dagli impianti d’incenerimento, non è ancora chiaro se la stabilità molecolare delle sostanze in questione, determinandone l’accumulo nel tempo, possa esitare in aumenti di rischio apprezzabili delle popolazioni esposte.

    Per quanto riguarda l’intensità dell’esposizione, va fatta una distinzione netta tra gli impianti di vecchia e di nuova generazione, giacché i livelli delle emissioni consentiti fino all’introduzione della direttiva 2000/76/CE erano di 3-6 volte maggiori per i principali parametri e di alcune centinaia di volte per le diossine e i furani.
    Le principali sostanze chimiche emesse dagli inceneritori e considerate per il loro potenziale di rischio per la salute umana sono:
    - metalli (Cadmio, Mercurio, Tallio, Zinco, Mercurio, Cromo, Arsenico, Piombo, Cobalto, Manganese, Nichel, Vanadio);
    - idrocarburi policiclici aromatici (IPA);
    - polveri fini e ultrafini;
    - acidi (fluoridrico, cloridrico)
    - gas (SO2, NO2, CO)
    - policloroderivati (policlorobifenili, diossine, furani)

    Le vie di esposizione individuate sono quella inalatoria (gas, polveri, IPA), alimentare (policloroderivati) e per contatto dermico (metalli, IPA).


    Impianti d’incenerimento di vecchia generazione

    Sono numerosi gli studi epidemiologici condotti tra il 1960 e il 1980 su popolazioni residenti in aree limitrofe agli impianti d’incenerimento ed è anche disponibile una rassegna sistematica della letteratura condotta in Italia (25) che riporta valutazioni di carattere generale sulla nocività dei vecchi inceneritori; è disponibile anche un recente rapporto di un gruppo tecnico dell’OMS sullo stesso argomento (26).
    Gli impianti d’incenerimento di vecchia generazione hanno sicuramente comportato l’esposizione ambientale della popolazione residente a livelli elevati di sostanze tossiche. Per questa ragione è stata cercata la presenza di diversi potenziali effetti su: malattie respiratorie (27-29), rapporto di mascolinità alla nascita (30-32), malformazioni congenite (33-37) e tumori – linfomi, sarcomi dei tessuti molli, laringe, polmone, fegato – (38-44).
    Studi metodologicamente robusti e difficilmente contestabili hanno messo in evidenza eccessi di tumori riconducibili all’esposizione a diossine (38-39, 42-43); questo risultato è molto plausibile se si tiene conto delle alte concentrazioni di queste sostanze ammesse nelle emissioni degli inceneritori fino a non molti anni fa. Sono maggiori, invece, le incertezze nell’interpretazione dei risultati che riguardano gli altri effetti. Va rilevato che anche in questi studi fa difetto il controllo del potenziale confondimento prodotto dallo stato socio-economico.
    Si può concludere che esistono prove convincenti dell’associazione tra l’esposizione alle emissioni degli impianti d’incenerimento di vecchia generazione (in particolare a diossine) e l’aumento di frequenza di tumori in alcune sedi. È possibile che le stesse emissioni abbiano prodotto altri effetti, tumorali e no, ma i dati a disposizione non sono sufficienti per avvalorare questa ipotesi.

    Impianti d’incenerimento di nuova generazione

    A seguito delle restrizioni comunitarie sulle emissioni ammesse (Direttiva 2000/76/EC, recepita in Italia nel 2005) le concentrazioni di molte sostanze tossiche sono state notevolmente ridotte. In particolare le concentrazioni ammesse di diossine sono passate nel nostro Paese da un massimo di 4.000 ng/m3 (DM 12/7/1990) ad un massimo di 0,1 ng/m3 (D. Lgs 11/5/2005) .A causa del poco tempo trascorso dall’introduzione delle nuove tecnologie d’incenerimento e a causa della difficoltà di condurre studi di dimensioni sufficientemente grandi da rilevare eventuali effetti delle nuove concentrazioni dei tossici emessi, non sono ad oggi disponibili evidenze chiare di rischio legato agli impianti di nuova costruzione.
    La frequente presenza nelle aree di localizzazione degli inceneritori di altri insediamenti industriali, di arterie viarie ad alto traffico, di insediamenti residenziali di popolazioni socialmente ed economicamente svantaggiate pone problemi nuovi, problematici per gli usuali strumenti dell’indagine epidemiologica, a quanti cercano di individuare gli effetti sanitari specifici delle emissioni dei nuovi inceneritori.
    Anche i nuovi impianti d’incenerimento emettono sostanze tossiche di riconosciuta pericolosità ma a concentrazioni non dissimili – in alcuni casi inferiori – a quelle di altre fonti emissive della stessa area (traffico, insediamenti industriali). I nuovi problemi, ai quali non sono state date ancora risposte, riguardano la misura della compromissione aggiuntiva del territorio che questi impianti determinano.
    Data la difficoltà di porre in evidenza rischi che, per bassa intensità dell’esposizione, si collocano ai limiti delle capacità di risoluzione dell’epidemiologia (e forse oltre), e dato quindi il dubbio rapporto costo-beneficio delle indagini epidemiologiche convenzionali, la ricerca si è orientata verso metodologie di risk assessment (45), che sono tuttavia ancora bisognose di consolidamento metodologico. Le stesse considerazioni si applicano alla misura di biomarcatori di esposizione, anche se fino ad ora, di regola, non hanno messo in evidenza alterazioni significative (46-50).

    Conclusioni

    In considerazione del trend nazionale in continua crescita, lo smaltimento dei rifiuti è per il nostro Paese fonte di problemi economici, ambientali, sociali e sanitari, tenuto conto anche delle preoccupazioni e delle tensioni che determina nella popolazione residente in prossimità degli impianti di trattamento e nei loro amministratori. Punti focali di una politica centrata sulla prevenzione sono la riduzione della produzione di rifiuti, la razionalizzazione degli imballaggi, la raccolta differenziata, il riciclaggio, il riuso, il recupero dei materiali. Oggi in Italia il riciclo dei materiali non supera il 24% – con profonde differenze tra aree geografiche: valori più alti al nord rispetto al sud e alle isole con rilevanti eccezioni in entrambe le aree – anche se i rifiuti sono in molti casi una risorsa di alto valore energetico (basti pensare all’alluminio, all’acciaio, al vetro, alla carta) che può vantaggiosamente sostituire le materie prime nella produzione di beni di largo consumo.

    Le due tipologie ordinarie di smaltimento dei rifiuti indifferenziati residuati a valle del processo di differenziazione – conferimento in discarica controllata e incenerimento – non sono antitetiche, ma sono esaustive delle possibilità di trattamento efficace e sicuro. Ribadita la priorità delle misure di prevenzione (riduzione, recupero, raccolta differenziata), l’Unione Europea raccomanda (51) l’incenerimento in via preferenziale rispetto al conferimento in discarica controllata. In alcune zone italiane ove i siti disponibili per l’insediamento di discariche sono in via di esaurimento (è questo il caso delle province di Napoli e di Caserta) non appare agevole trovare soluzioni praticabili alternative all’incenerimento, ferma restando la necessità di incrementare pratiche di recupero e differenziazione.

    Le conoscenze epidemiologiche ad oggi disponibili, ancorché non conclusive, fanno ritenere che il conferimento in discariche controllate, costruite e condotte in accordo alla normativa nazionale e comunitaria, non comporti un rischio per l’ambiente e per la salute delle popolazioni insediate nelle vicinanze dello stabilimento.

    Analogamente, la valutazione delle poche osservazioni epidemiologiche disponibili non depone per un incremento di rischio per la salute umana del trattamento dei rifiuti mediante incenerimento in impianti basati sulle migliori tecnologie disponibili. Tale conclusione è sostenuta principalmente dalle concentrazioni estremamente basse di sostanze tossiche nelle emissioni dei nuovi impianti. Tuttavia, il dimensionamento effettivo dei volumi di sostanze tossiche immesse dai camini nell’ambiente è un fattore critico per giudicare della sicurezza anche dei nuovi impianti e richiede la conduzione di osservazioni accuratamente pianificate. Negli impianti di grandi dimensioni le basse concentrazioni di sostanze tossiche nelle emissioni possono essere vanificate, almeno in via teorica, dalle elevate quantità in volume delle emissioni nell’unità di tempo. Questo genere di impianti, infatti, è associato ad una riduzione del riciclo nel bacino territoriale circostante perché i grandi impianti a griglia mobile necessitano di elevati volumi di rifiuti per il loro funzionamento ottimale e di un basso potere calorifico del combustibile per il controllo ottimale delle temperature di combustione. Altre tecnologie (letto fluido, gassificazione), attivate su impianti di dimensioni minori, sono più adatte ad un ciclo dei rifiuti che preveda anche il riciclo e il riutilizzo.

    I dati di letteratura, anche in questo caso non sufficienti e non conclusivi, mostrano che i maggiori rischi per la salute sono associati alle emissioni da discariche illegalmente utilizzate e siti di abbandono illegali, da impianti d’incenerimento con tecnologie obsolete, da siti di abbandono e dalle combustioni incontrollate di rifiuti.

    Raccomandazioni

    La tutela della salute e dell’ambiente richiede l’adozione di politiche orientate in senso preventivo per contenere la produzione dei rifiuti e la necessità di doverli smaltire.

    Il conferimento in discarica controllata e l’incenerimento con le migliori tecnologie disponibili sono modalità di trattamento dei rifiuti che minimizzano l’impatto sull’ambiente e sulla salute. Altre modalità di smaltimento, sostitutive o aggiuntive a queste, non vanno escluse a priori, ma devono essere sottoposte a verifica, anche in relazione al rapporto costi-benefici, prima della loro adozione.

    Ogni altra modalità di trattamento dei rifiuti – illegale o garantita da deroghe amministrative – dovrebbe essere interrotta per manifesta violazione delle norme vigenti fino a verifica dell’effettiva assenza di condizioni di rischio connesse alle procedure in uso.

    Vanno avviati piani di monitoraggio delle emissioni e di sorveglianza sanitaria delle popolazioni residenti in prossimità di discariche controllate e di inceneritori con le migliori tecnologie disponibili già operativi o dei quali è prevista l’attivazione. Vanno invece avviati studi analitici per la ricerca degli effetti sanitari nelle popolazioni che hanno subito le esposizioni derivanti da ogni altra modalità di smaltimento dei rifiuti.

    Per il superamento dei limiti degli studi fino ad ora condotti è raccomandato: l’uso di modelli evoluti di dispersione degli inquinanti basati sulle più recenti tecnologie GIS; l’attivazione di studi prospettici possibilmente multicentrici, con particolare attenzione al controllo sistematico del confondimento; l’uso di procedure di biomonitoraggio in particolare sui gruppi più vulnerabili (bambini, donne in gravidanza, malati cronici); la sperimentazione di studi di risk assessment.

    Sia per i piani di sorveglianza sia per gli studi analitici è raccomandata la costituzione di comitati di esperti di provata competenza e in assenza di conflitto d’interesse cui demandare la progettazione delle osservazioni, le verifiche in corso d’opera, la divulgazione dei risultati.

    È da ricercare la partecipazione e il coinvolgimento della popolazione in tutte le fasi, sia decisionali sia operative, connesse allo smaltimento dei rifiuti, secondo quanto ribadito dalla convenzione europea di Aarhus e dalla carta di Aalborg.
     
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