GRANDI OPERE: LA CASTA DEL NO

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Like  
     
    .
    Avatar

    Icon

    Group
    Administrator Founder
    Posts
    5,980
    Location
    Worldwide

    Status
    Anonymous
    Chi sono quelli che fermano tutto?
    Sono politici a caccia di consensi, comitati che non vogliono infrastrutture nelle loro zone, burocrati che per non sbagliare scelgono di non fare. Dalle ferrovie al Mose di Venezia, che avrebbe forse fermato l’acqua alta di questi giorni, dalle autostrade alle centrali, storie straordinarie di ordinaria lentocrazia. Perché il non fare è un danno per tutti. E non piccolo: 251 miliardi da oggi al 2020.

    Negli ultimi quattro anni sono stati presentati 70 progetti per la costruzione di linee elettriche ad alta tensione. Secondo una legge approvata nel 2004, le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto esprimere una valutazione favorevole o contraria entro 180 giorni, ma 70 volte su 70 non hanno rispettato i tempi. Nel migliore dei casi si sono fatte vive dopo un anno, nel peggiore mai. Gli elettrodotti non sono le uniche vittime della lentocrazia. Strade, centrali, termovalorizzatori, ferrovie, metropolitane, rigassificatori: da anni tutto ciò che sa di grande infrastruttura spesso sparisce inghiottito dalle sabbie mobili dei veti.

    Alcuni giorni fa il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha raccontato al Corriere della sera uno dei casi più grotteschi della voglia di intralciare che si è impadronita di molti in Italia. Proprio mentre Venezia era sommersa da un’ondata di acqua alta da record degli ultimi 22 anni, il ministro ha spiegato che il completamento del Mose, sistema che salverebbe la città dalle maree, rischia di slittare per l’ennesima volta a causa di un variegato fronte dell’interdizione. Gli anti Mose si sono appellati all’Europa sostenendo che l’opera darebbe noia agli uccelli selvatici della laguna e la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. Nel frattempo il governo italiano ha concordato con la Bei (Banca europea degli investimenti) la concessione dei fondi necessari per ultimare l’infrastruttura (ferma a metà dell’opera), finanziamenti che, però, potrebbero essere ritirati nel caso l’Europa non archiviasse la denuncia per gli uccelli.

    Quello del Mose (un progetto nato in seguito all’alluvione del 4 novembre 1966) sta diventando una sorta d’emblema di quanto costa il non fare in Italia: se potessimo contare sulla velocità che hanno gli olandesi nell’approvare e costruire dighe e frangiflutti, l’acqua alta di Venezia sarebbe un ricordo di qualche decennio fa.

    Dall’ultimo comunello fino ai ministeri passando per regioni e province, in Italia tutti sembrano impegnati, invece, in una gara a chi frena meglio. Quando a maggio Stefania Prestigiacomo si è insediata al ministero dell’Ambiente, ha trovato la bellezza di 159 pratiche Via (valutazione di impatto ambientale) ferme da anni e solo in autunno la macchina delle autorizzazioni è stata rimessa in moto.

    Ma la buona volontà di un ministro da sola non basta, è tutto il meccanismo che non gira. Dietro l’apertura di un cantiere c’è un gioco dell’oca che sembra escogitato da un folletto maligno incantato dal potere dei timbri.

    Ogni amministrazione vuol mettere il suo, in qualche caso ce ne vogliono addirittura 14 o 15 compresi quelli della Forestale e delle comunità montane. Spesso si creano eterogenee alleanze trasversali, diverse volta per volta a seconda delle opere da bloccare.

    Ci si mettono politici che puntano a trarre vantaggio dalle contestazioni, o magari semplicemente a blandire il proprio bacino elettorale. Poi ci sono i comitati «Nimby», che non vogliono le grandi opere nel proprio territorio: dai no Tav della Val di Susa alle associazioni antiinceneritori in Campania, dai vari no ai rigassificatori a quelli alle centrali nucleari o alle centrali a carbone. E poi una selva di burocrati, fermi sul concetto che non fare sia molto meglio che fare: chi non fa, infatti, non sbaglia mai. A unire tutti i paladini dei fronti del no c’è la certezza dell’impunità: nessuno pagherà mai i costi del non avere fatto.

    Nel decreto anticrisi di alcuni giorni fa il governo ha inserito una norma specifica per limitare il potere diffuso d’interdizione, ma ora bisognerà vedere all’atto pratico se riuscirà a raggiungere lo scopo. Finora è successo perfino che Enel, Autostrade, Ferrovie, Terna, cioè le società che dovrebbero rinnovare il Paese con grandi opere, prima di presentare ufficialmente un progetto si siano sottoposte volontariamente a una specie di via crucis non prevista da alcuna legge intavolando una trattativa con gli enti locali che può durare anche 5 o 6 anni, sovente in un clima da suq, tra richieste, furbizie, sgambetti e concessioni.

    Alla fine di questo percorso di guerra oratorio il progetto passa alla Via regionale e poi a quella nazionale e infine alla Conferenza dei servizi, un parlamentino di 60-70 tra amministratori, generali, vigili del fuoco, funzionari ministeriali che si riunisce quando può e quando vuole. Se il progetto supera anche questo scoglio, approda alle firme dei ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, in qualche caso neanche queste bastano perché l’ultima parola ritorna alla regione se è a statuto speciale.

    Nel frattempo sono passati anni e si sono accumulati i danni. Un trentennio fa la rete di autostrade italiane era più lunga di quella francese e tripla di quella spagnola, oggi la Francia ha il 65 per cento di km più di noi e la Spagna il 75. Tra il 2000 e il 2005 gli spagnoli hanno inaugurato 2.383 km, i francesi 1.035 e noi 65. La prima tratta europea di alta velocità ferroviaria fu aperta 34 anni fa tra Roma e Firenze, nel frattempo in Francia i km di alta velocità sono diventati 1.893, in Spagna 1.552 e in Germania 1.300. Noi siamo fermi a circa 750.

    Il segretario dell’Unioncamere, Giuseppe Tripoli, ha stimato che se da qui al 2020 si realizzassero le 40 opere necessarie per migliorare il sistema dei trasporti, l’Italia guadagnerebbe 13,4 miliardi di euro all’anno. Se si facesse il minimo indispensabile, il vantaggio scenderebbe a 5 miliardi, ma se non si farà niente, il Paese arretrerà ancora.

    Il gruppo di studio I costi del non fare dell’Agici-Finanza di impresa ha calcolato che da oggi al 2020 l’inerzia costerebbe all’Italia la bellezza di 251 miliardi di euro di cui 24 per l’energia. Solo la Terna ha 1,4 miliardi di euro bloccati su 3,1 di investimenti programmati per il prossimo quinquennio. Proprio nel campo di centrali, reti di trasmissione e rigassificatori il ritardo accumulato è grave. Ecco alcuni esempi.

    Slovenia addio

    Le regioni della ex Iugoslavia e i Balcani sono una mecca dal punto di vista elettrico. Per due motivi. Il primo è che in quell’area ci sono 10 mila megawatt disponibili a basso costo prodotti da centrali alimentate con la forza dell’acqua, quindi superpulite. Il secondo motivo è che in Croazia, Kosovo, Serbia e Montenegro è stimata la presenza di riserve di lignite per oltre 300 anni. Per qualsiasi paese avere un accesso privilegiato in quell’area sarebbe un bell’investimento, e infatti l’Italia ci ha provato, ma invano.

    Tre anni fa la Terna, società mista pubblico-privato, propose al governatore del Friuli-Venezia Giulia, Riccardo Illy, centrosinistra, la costruzione di una linea di un centinaio di chilometri tra Udine e Okroglo in partnership con la slovena Seles. A marzo 2007 Illy rispose no con una lettera di appena otto righe. Quindici mesi dopo la Terna prova a rifarsi viva con il successore, Renzo Tondo, centrodestra, ma bene che vada i lavori partiranno il prossimo decennio.

    I picchi siciliani

    La Sicilia produce un po’ di più di elettricità (6,5 per cento) di quel che consuma, ma non d’estate, quando l’isola è invasa dai turisti, la corrente non basta e il sistema va in tilt. La Calabria, invece, produce molto più di quanto consuma e quindi sarebbe nelle condizioni ideali per esportare elettricità. Ci vorrebbe una nuova linea e un progetto è stato sottoposto alla valutazione degli enti locali quasi sei anni fa. Nel 2006 con un accordo tra le parti venivano definiti il tracciato e le specifiche tecniche, particolarmente impegnative perché l’elettrodotto passa sotto lo Stretto collegando le località Sorgente e Rizziconi. Costo preventivato 390 milioni di euro. Per due anni l’opera è stata bloccata alla commissione Via; l’esame della pratica è stato ripreso solo a settembre 2008 con un sopralluogo dei tecnici nelle province di Messina e Reggio Calabria. Simile la vicenda del raddoppio della rete elettrica nella parte orientale dell’isola: 310 milioni di investimenti in attesa di autorizzazioni.

    Deficit lombardo-veneto
    La Lombardia è la regione più energivora d’Italia e ha un deficit elettrico di oltre il 26 per cento; il Piemonte sta addirittura peggio con uno sbilancio del 32. Entrambe hanno bisogno dell’elettricità dei paesi confinanti, soprattutto francese. L’elettrodotto Trino-Lacchiarella dovrebbe contribuire a risolvere i problemi energetici di entrambe le regioni, ma dopo 5 anni di concertazione tra la Terna e gli enti locali il progetto non è ancora approdato alla fase formale della richiesta di autorizzazione.

    Quasi identica la situazione per la linea Fusina-Dolo Camin di collegamento tra le città di Venezia e Padova. Qui la concertazione con gli enti locali è durata due anni, ma l’ok definitivo resta lontano. Prima della fine del 2008 la commissione Via dovrebbe effettuare un sopralluogo lungo il tracciato.

    Campania sdegnosa

    Anche dal punto di vista elettrico la Campania è una delle regioni che sta peggio. Produce appena il 40 per cento dell’elettricità consumata dai suoi abitanti; il resto lo deve importare. In queste condizioni ci sarebbe da aspettarsi dai suoi amministratori un’accoglienza con le fanfare di qualsiasi ragionevole piano per accrescere la disponibilità energetica. Invece non è così. Nel 2003 è stato sottoposto alla regione un progetto per collegare Benevento con Foggia, che ha un surplus di produzione elettrica, ma ben poco è stato fatto.

    Dopo una lunga fase di concertazione, nel 2006 la società Terna e gli enti locali interessati trovarono un accordo, ma poi si mise di traverso il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, irremovibile sulla linea del no. Invano cercarono di convincerlo spiegandogli che l’elettricità in questione era particolarmente pulita essendo prodotta con il vento nell’area Dauna, zona con alti indici di ventosità e con la più alta concentrazione di pale eoliche d’Italia.

    La guerra del delta

    La centrale di Porto Tolle sul delta del Po è nata sfortunata. Nel 2001 l’Enel avrebbe voluto riconvertirla da olio (costoso e inquinante) a orimulsion, una miscela bituminosa a buon prezzo che si trova alle foci dell’Orinoco, in Venezuela. Ma mentre le procedure stavano andando avanti spedite per una volta tanto, il presidente Hugo Chávez cancellò le forniture all’Italia a vantaggio esclusivo della Cina. Tutto da rifare.

    Nel 2004 fu preparato un nuovo progetto a carbone «pulito» e nei due anni successivi sul futuro della centrale fu ingaggiato un estenuante ping pong tra la Regione Veneto favorevole e la commissione Via contraria. Contro si è messa anche Manuela Fasolato della procura di Rovigo che, dopo aver portato l’Enel in tribunale con l’accusa di inquinamento causato dal vecchio impianto a olio, ha rincarato la dose con una seconda denuncia per danni ambientali. In questo clima, la nuova Via nominata a giugno, a novembre ha chiesto la bellezza di 23 chiarimenti sul progetto, alcuni dei quali doppioni di quelli già presentati dalla vecchia commissione. Così resta al palo un’opera da 2 miliardi di euro e 3 mila posti di lavoro che doveva partire a inizio 2008.

    Il gas e i templi

    Il rigassificatore che l’Enel vorrebbe realizzare in Sicilia costa 600 milioni di euro e consentirebbe all’Italia di aumentare le importazioni di metano di 8 miliardi di metri cubi all’anno, circa un decimo del consumo nazionale. L’impianto sorgerebbe nell’area portuale di Porto Empedocle, ma a risentirsi è il sindaco del Comune di Agrigento, Marco Zambuto, il quale teme che il rigassificatore deturpi la vista della Valle dei templi, distante ben 6 chilometri. Gravato da una morosità con l’Enel di oltre 1 milione di euro, il sindaco ha sollecitato i legali del comune a verificare se esistano le condizioni per ricorrere al tar. E non si è fatto convincere neppure dalle pacate argomentazioni di uno che di ambiente e antichità se ne intende, il presidente della commissione italiana Unesco, il siciliano Giovanni Puglisi, che in un’intervista ha escluso l’esistenza di rischi per la Valle dei templi. A favore del rigassificatore negli anni passati si era pronunciato perfino l’intransigente ministro Pecoraro Scanio e il suo parere favorevole è stato ribadito di recente da Prestigiacomo e dal responsabile dei Beni culturali, Sandro Bondi.

    Lontra o centrale?

    Da tre anni a Laino Borgo, un paesino nei boschi del Pollino tra Calabria e Basilicata, è pronta una centrale elettrica da 35 megawatt. È costata 50 milioni di euro e funziona a biomasse, cioè a legna, tecnologia considerata poco o per niente inquinante. Per la verità è più appropriato dire funzionerebbe, perché l’impianto di Laino ha prodotto elettricità un giorno solo, quello della prova d’accensione. Da allora niente e la centrale sta trasformandosi in un’altra piccola cattedrale nel deserto del Sud.

    La realizzazione dell’opera fu sollecitata una decina d’anni fa dagli amministratori di Cosenza, sgomenti all’idea di perdere posti di lavoro per la chiusura della vecchia centrale elettrica ormai inadeguata e inquinante. Nel frattempo l’area è stata inserita nel Parco naturale del Pollino e la Regione Calabria ha preteso che l’impianto fosse sottoposto alla Vinca (valutazione incidenza ambientale), una procedura simile, ma non identica alla Via.

    La valutazione ha dato risultati positivi, ma non è bastata perché un mese fa anche la confinante Basilicata, forse per non restare indietro, ha preteso la sua Vinca. Intanto l’opposizione ambientalista si batte contro la centrale perché disturberebbe la lontra del vicino fiume Mercure. Ma che queste lontre esistano davvero nessuno è ancora riuscito a provarlo.

    Fonte panorama.it
     
    .
  2. 3350
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (MetS @ 15/12/2008, 01:06)
    La centrale di Porto Tolle sul delta del Po è nata sfortunata. Nel 2001 l’Enel avrebbe voluto riconvertirla da olio (costoso e inquinante) a orimulsion, una miscela bituminosa a buon prezzo che si trova alle foci dell’Orinoco, in Venezuela. Ma mentre le procedure stavano andando avanti spedite per una volta tanto, il presidente Hugo Chávez cancellò le forniture all’Italia a vantaggio esclusivo della Cina. Tutto da rifare.

    Nel 2004 fu preparato un nuovo progetto a carbone «pulito» e nei due anni successivi sul futuro della centrale fu ingaggiato un estenuante ping pong tra la Regione Veneto favorevole e la commissione Via contraria. Contro si è messa anche Manuela Fasolato della procura di Rovigo che, dopo aver portato l’Enel in tribunale con l’accusa di inquinamento causato dal vecchio impianto a olio, ha rincarato la dose con una seconda denuncia per danni ambientali. In questo clima, la nuova Via nominata a giugno, a novembre ha chiesto la bellezza di 23 chiarimenti sul progetto, alcuni dei quali doppioni di quelli già presentati dalla vecchia commissione. Così resta al palo un’opera da 2 miliardi di euro e 3 mila posti di lavoro che doveva partire a inizio 2008.

    i motivi di tanti rimpalli non sono solo di carattere "anti tutto", infatti sorge su un'area delicata quale il delta del Po, in un parco naturale dove è consentito per gerare elettricità (per legge) il solo uso di metano o fonte rinnovabile.
    L'Enel in quella zona ha creato un notevole inquinamento quando faceva funzionare la centrale ad olio. La mattina si poteva notare una polverina rossa depositata sull'erba, sulle auto etc; gli stessi operatori confermarono che nel trasferimento di olio combustibile non era raro che ci fossero sversamenti in mare...
    Non a caso la provincia di Rovigo nel basso polesine ha avuto un incremento di malattie respiratorie (tumori ad es.).
    Ora lo spettro di una centrale di questo tipo anche a fronte di un aumento del turismo in quelle zone preoccupa i polesani e anche molti esponenti politici (i comuni limitrofi ad es.). Il traffico di betoline giornaliero da Chioggia a Polesine camerini, lo smaltimento dei gessi tutt'ora poco chiaro, l'impatto visivo del complesso in genere, sono solo problematiche che Enel tende a minizzare.
    Sarebbe meglio se invece di essere convertita a carbone fosse la prima centrale nucleare post referendum, piuttosto di farla a carbone meglio se resta ferma altri 5 anni e che parta nucleare.
    Sono convinto che se fosse partita negli anni 80 già nucleare avrebbe causato molti meno problemi.
     
    .
  3.     Like  
     
    .
    Avatar

    Icon

    Group
    Administrator Founder
    Posts
    5,980
    Location
    Worldwide

    Status
    Anonymous
    Concordo.
    La centrale di Porto Tolle fu considerata per la trasformazione a carbone perche' inclusa dal decreto Bersani che varava la stagione del carbone ad ogni costo anche in Italia.
    La gente deve capire che le ragioni di certe scelte energetiche nazionali solo apprentemente senza senso hanno origini molto lontane e drammaticamente piu' valide.
    L'energia in Italia viene prodotta principalmente attraverso l'utilizzo di poche fonti primarie basate prevalentemente sugli idrocarburi.
    In Italia viene utilizzato in modo intensivo il metano, l'olio combustibile con tutte le varianti possibili, il carbone solo in poche centrali di cui una ancora funzionante in Sardegna, e poi l'idroelettrico che ha una consistente percentuale nel panorama energetico nazionale.
    A tutto questo, perche' insufficiente, bisogna aggiungere l'energia elettrica importata e prodotta dal nucleare anche italiano ma all'estero. E' il caso di quella prodotta in alcune centrali francesi e slovene/croate dove le partecipazioni di ENEL sono maggiormente consistenti.
    Negli ultimi anni pero' si e' assistito a conflitti anche importanti nell'area medio orientale che hanno agito da booster verso l'escalation dei prezzi dell'energia. A questo bisogna aggiungere la netta posizione contro corrente del venezuela, grosso produttore petrolifero in Sud america. La politica di Ugo Chavez non e' piaciuta a nessuno dal punto di vista energetico perche' mira a creare sconcerto e confittiualita' in un settore gia' sensibile ai conflitti e non solo virtuali.

    Bisogna aggiungere anche il metano dalla Russia e i problemi legati alle forniture attraverso il gasdotto che passa dall'Ucraina e ex repubbliche sovietiche. E' evidente che creare alternative al gas pulito che ci da una mano ad inquinare maggiormente l'ambiente, bisogna spiegare anche questo alla gente. L'uso intensivo di gas metano ha acuito i problemi legati al riscaldamento globale in quanto il metano e' un gas serra e quindi per questo e tutti i motivi sopiegati precedentemente si e' deciso la trasformazione a carbine delle centrali precedentemente alimentate ad olio combustibile.

    Ma la storia delle scelte energetiche italiane ha altra varianti.

    Il decreto Bersani venne emesso durante il governo Prodi nel 1999.
    Il principio ispiratore fu (cito da Wikipedia): Poiché di fatto il mercato (o filiera) elettrico nelle sue diverse componenti (generazione o produzione, trasmissione, dispacciamento, distribuzione e vendita di energia elettrica) era concentrato in un solo operatore integrato, l'ENEL che curava ogni fase del settore elettrico, il decreto ha disposto secondo opportune norme la separazione, societaria e proprietaria a seconda dei casi, di ciascuna di queste fasi. Ciascuna fase viene opportunamente regolamentata in modo da ottenere le migliori condizioni capaci di garantire l'effettiva realizzazione dell'apertura del mercato. Apertura che dovrebbe garantire l'ingresso di capitali privati e una concorrenza tra molteplici operatori con il fine ultimo di avere delle tariffe più basse rispetto ad una situazione di tipo monopolistica. Inoltre tale decreto istituisce particolari soggetti a carattere pubblico che hanno il compito di ottimizzare il funzionamento del mercato. Il primo passo di tale processo si è avuto nell'obbligo per l'ex monopolista di costituire società separate per lo svolgimento delle seguenti attività:
    generazione (produzione) di energia elettrica; distribuzione di energia elettrica e la vendita ai clienti vincolati; la vendita ai clienti idonei; l'esercizio dei diritti di proprieta' della rete di trasmissione elettrica; la dismissione delle centrali elettronucleari italiane.

    E' evidente che per una certa classe politica era importante poter togliere il monopolio ad ENEL e gia' che c'erano anche a SNAM che avevano insieme vincolato il mercato energetico degli anni immediatamente successivi all'uscita dal nucleare in italia alla fine degli anni 80. E' questo un aspetto cosi' importante che meriterebbe da solo una discussione.

    Il carbone, perche' principalmente importato dalla Cina rappresentava in quel periodo l'unica possibile scelta per differenziare le fonti di materie prime ma anche per dare la possibilita' ad altri soggetti di entrare nel proficuo mercato dell'energia in Italia e garantire quei guadagni fino a quel momento riservati a pochi.

    Non pensate che tutto questo e' stato pensato per il bene del Paese, tutt'altro o almeno solo in parte. il pensiero allora va a quel progetto dei rigassificatori e a quell'altro della fine degli anni 70 ideato da diverse aziende italiane la cui capofila era la Fochi di Bologna. La loro idea, valida per quel periodo era di importare LNG dal Qatar e dall'Iran e rigassificarlo in impianti specifici localizzati nell'alto Adriatico e quindi distribuito a livello nazionale. Sappiamo pero' com'e' andata finire e la Fochi a causa delle perdite subite alla fine falli' e fu smembrata.

    Per chiudere il discorso la rinnovata ed obbligatoria volonta' di ristabilire il nucleare e' anche ispirata all'idea di dare finalmente all'Italia l'energia che ha bisogno non inquinata da mire espansionistiche o legata a partiti politici che agiscono in nome e per conto del potere.

    La centrale di Porto Tolle potrebbe essere trasformata ad energia nucleare (non e' corretto dire "trasformata" perche' una centrale tradizionale non puo' essere trasformata in una nucleare, semmai e' valido il contrario) attraverso la costruzione di una nuova centrale da posizionarsi in quell'area o nelle vicinanze in modo da fornire energia vitale a tutta l'area industriale polesana. Non necessariamente vicino al Po, anche se la vicinanza a corsi d'acqua favorirebbe il processo.

    Stiamo alla finestra e vediamo che succede.

     
    .
  4. 3350
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (MetS @ 10/2/2009, 23:44)
    La centrale di Porto Tolle potrebbe essere trasformata ad energia nucleare (non e' corretto dire "trasformata" perche' una centrale tradizionale non puo' essere trasformata in una nucleare, semmai e' valido il contrario) attraverso la costruzione di una nuova centrale da posizionarsi in quell'area o nelle vicinanze in modo da fornire energia vitale a tutta l'area industriale polesana. Non necessariamente vicino al Po, anche se la vicinanza a corsi d'acqua favorirebbe il processo.

    Stiamo alla finestra e vediamo che succede.

    Il polesine non necessita di tutta questa corrente, semmai saranno regioni come la Lombardia o il Piemonte a necessitare di tutta questa energia.
    Inoltre c'è già installato un rigassificatore che fornirà ben il 10% del consumo nazionale di metano. Mi sembra si sia già dato!
    La provincia di Rovigo sta diventando un polo di eccellenza per l'uso delle energie rinnovabili ed è il contesto che più le si addice in un'erea delicata come quella del Delta del Po.
    Se fosse per me Polesine Camerini rimarebbe archeologia industriale in attesa del nucleare. Nel frattempo si potrebbero costruire delle piccole turbogas vicine ai centri abitati in modo da sfruttare il calore residuo per teleriscaldamento, ma, temo, questo non piacrebbe ad ENI e compagnia briscola; eppure tra Credit Carbon, certificati bianchi, l'indotto che si creerebbe non sarebbe male.
     
    .
  5.     Like  
     
    .
    Avatar

    Icon

    Group
    Administrator Founder
    Posts
    5,980
    Location
    Worldwide

    Status
    Anonymous
    La posizione di una centrale non dipende esclusivamente dall'uso locale ma si identifica in un contesto piu' vasto.

    Quella di Porto Tolle e' situata in prossimita' di una dorsale di potenza costruita per trasportare l'EE importata dall'est europeo con destinazione Veneto, Emilia Romagna e Lombardia principalmente.

    Non capisco invece per quale motivo si continui a pensare al metano come il risolutore di tutti i mali quando, invece, e' proprio lui quello che produce i maggiori dissesti atmosferici.
    Non tutti sanno che, in caso di sovrapressione viene scaricato direttamente in atmosfera il gas in eccesso e questo succede diverse volte al mese, anche per piu' giorni di fila in particolare durante le stagioni di mezzo, primavera e autunno quando il fabbisogno di gas da riscaldamento e' minore ed i pozzi di accumulo sono gia' pieni.

    Nel 1999, metre mi trovavo in visita ad ex colleghi della centrale Snam di Sergnano (CR) mi e' capitato di assistere allo scarico per sovrapressione di un pozzo.
    Il camino di emergenza avra' espulso diversi metri cubi di gas metano perche' una valvola di sicurezza era saltata.
    Con un fragore assordante il camino di sfiato (con un diamtro di oltre due metri) ha soffiato per quasi due ore finquando la pressione e' scesa sotto un determinato livello.

    Non ho calcolato la quantita' perche' mancavano diversi parametri ma, ad occhio e croce in 2 ore se ne sono andati almeno 10000 mc di gas che hanno contribuito ad alimentare il riscaldamento globale ed aumentare l'effetto serra.
    Purtroppo sia ENI sia ENEL si guardano bene da andare a raccontare tutti gli strascichi della scelta metano...

    Lasciamo perdere il metano e lasciamo anche perdere l'energia rinnovabile per un uso non residenziale.
    Quello che in molti dimenticano, o forse non sanno, e' che l'energia rinnovabile discontinua, principalmente eolica e fotovoltaica e' perfetta per alimentare le utenze residenziali ma difetta notevolmente di potenza quando si tratta di fornire energia alle aziende, in particolare a quelle metalmeccaniche o di trasformazione.

    Una centrale nucleare va dunque vista in quel senso e, credimi, produrrebbe molti meno danni di una centrale a gas.
    Non e' questa la sede piu' adatta per parlare nello specifico di nucleare, semmai bisognerebbe trovare le ragioni per cui, e qui si e' verificato, ad ogni buona e sensata proposta per risolvere un problema ci debba sempre essere qualcuno che propone una pittoresca quanto inadatta alternativa,

    MetS
     
    .
  6. 3350
        Like  
     
    .

    User deleted


    Dimentichi le biomasse e Rovigo ne avrà parecchie di queste centrali che funzionano giorno e notte e in alcuni casi con piccole reti teleriscaldamento.
    Sono d'accordo che le FER da sole non bastano, ma avendo visto molti esempi di microgerazione a metano con teleriscaldamento connesso, credimi nell'immediato non è una scelta sbagliata. Quello a cui ti riferisci tu è su scale maggiori e scommetto non sfruttano nemmeno il caldo.
     
    .
  7. Sergio Balacco
        Like  
     
    .

    User deleted


    Ho verificato anch'io quello da te asserito e posso tranquillamente confutare almeno una dele tue asserzioni.
    In definitiva la convenienza di una fonte alternativa energetica deve essere legata all'uso che si fa di quell'energia cosi' prodotta.
    Nel caso specifico i costi sarebbero troppo elevati a fronte dell'utilizzo ed e' per questo che si punta al nucleare che e' anche l'unico che possa aiutare a risolvere i problemi dovuti all'inquinamento e riduzione della CO2.
    Io posso anche aver dimenticato le centrali a biomassa di Rovigo ma tu dimentichi e anche alla grande le miglia di grandi aziende collocate nella piana del Po che hanno bisogno di energia ad alto potenziale per le loro fabbriche.
    Questa energia viene attualemente prodotta altrove e trasferita con elettrodotti dove serve.
    Dimenticati inoltre la microgenerazione a metano che, come MetS giustamente riporta, da piu' danni che vantaggi in termini di costi ed efficienza. La sindrome del NIMBY purtroppo funziona anche li nonostante molti, come te, aspirano a simili impianti piuttosto che il piu' sicuro nucleare. Una regione non la muovi con la microgenerazione che va bene appena appena per gli utenti residenziali, alle aziende serve altro e in ENEL se ne sono accorti da tempo, comitati di base e no global permettendo s'intende.
    Dovesse andar male vorra' dire che tornerete al caminetto a legna per riscaldarvi ed al lume a biomassa per illuminare le vostre esistenze. :( :( :( :zero16:

    SB
     
    .
  8. maliha
        Like  
     
    .

    User deleted


    Hi!
    I'm newbie here. Happy to be members of the forum.
    I hope we will have great time here. And I'll try to contribute to forum develop more.
    I'm positively looking forward to the forum and its members hope all will guide, share and help me to increase my knowledge.
     
    .
  9.     Like  
     
    .
    Avatar

    Icon

    Group
    Administrator Founder
    Posts
    5,980
    Location
    Worldwide

    Status
    Anonymous
    Hi maliha

    Here we write in Italian.
    If you are not Italian I am afraid nobody can discuss with you.
     
    .
8 replies since 15/12/2008, 01:06   462 views
  Share  
.